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La regionalizzazione del Veneto e la riforma della scuola

Le 23 materie dell’autonomia regionale chiesta, per referendum, dal Veneto, sono:

1) istruzione; 2) rapporti internazionali e con l’U.e.; 3) commercio estero; 4) tutela della salute; alimentazione; 5) ordinamento sportivo; 6) protezione civile; 7) governo territorio; porti e aeroporti civili; 8) ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione energia; 9) previdenza complementare e integrativa; 10) coordinamento finanza pubblica e sistema tributario; 11) valorizzazione dei beni culturali e ambientali; 12) casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito; 13) valorizzazione beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione attività culturali.

Durante il boom economico italiano la scuola divenne, giustamente, di massa e tutti vi potettero accedere facilmente. Dopo, il tasso di analfabeti era, finalmente, molto ridotto.

L’Italia ha pochi laureati e studiare all’università costa, mediamente, 2.000 euro di tasse annue a confronto di molto meno della Germania. L’ultimo rapporto sui sistemi formativi di 36 Paesi nel mondo dice solo il 4% della popolazione 25/64 anni ha la laurea, contro il 17% della media Ocse.

Che il sistema d’istruzione italiano abbia bisogno di modifiche sostanziali siamo tutti concordi. Non lo siamo più quando si sceglie il tipo di riforme.

Quali sono quelle buone? Renzi ne aveva fatta una: “La Buona Scuola”, ma aumentava il potere dei Dirigenti Scolastici.

Invece andrebbe realizzata una libera concorrenza con garanzia di libera scelta ai docenti per un sistema libero o statale di scuola.

I loro curricula vanno visionati anche dall’utenza – genitori fino ai 16 anni dei figli – nella scelta della scuola, del docente disciplinare nonché per i concorsi d’assunzione non affidati solo a ispettori e docenti statali.

La sola regionalizzazione dei docenti chiesta dal governatore e assessore alla cultura del Veneto è poca cosa e sbagliata anche. “La progressiva riduzione del numero di scuole cattoliche in attività deve preoccupare non solo la comunità cristiana ma tutta la società civile e i responsabili dell’amministrazione scolastica nazionale, perché il pluralismo educativo è un valore irrinunciabile per tutti e ogni volta che chiude una scuola cattolica è tutta l’Italia a rimetterci”, scrive il card. G. Bassetti: Presidente della CEI.

La scuola deve essere anche cattolica, ma soprattutto laica e immersa in una cultura aggiornata e spendibile trasmessa da docenti più rispettosi dei giovani Discenti. Questi oggi vedono il loro prof. un perdente non d’esempio, invece, deve apparirgli vincente.

La scuola deve essere il riflesso della Democrazia del 2019 d. C., la quale non deve significare affatto partitocrazia inconcludente e spesso patologica – per il sistema tangentizio – e con molti incompetenti al Governo regionale e centrale o nazionale. All’estero la scuola è messa meglio che da noi? Si.

Giuseppe Pace

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