I lettori ci scrivono

“La relazione d’aiuto” come fondamento del dialogo educativo

Assisto sconcertata e basita ogni giorno a scene di disagio nell’approccio docente-alunno, in un avvilente contesto di “non comunicazione”.

Alunni etichettati come “maleducati”, indisciplinati, ingestibili e docenti dall’alto della loro cattedra , impettiti e auto referenziati, che sparano sentenze e giudizi di valore, credendo di avere con ciò esaurito il complesso e delicato compito educativo al quale sono chiamati… Mi chiedo: in che direzione stiamo andando? È proprio questa la ‘Buona Scuola’ tanto invocata e proclamata in ogni legge, decreto o riforma scolastica?

In tutto ciò, avendo netta la sensazione di assistere ad una triste pantomima, in cui gli interlocutori non interagiscono tra loro e la relazione, negata e mortificata, poiché di fatto mai cercata, diviene un “dialogo tra sordi”.

Riflettendo sul fatto che:

– i ragazzi che oggi ci ritroviamo davanti nei loro banchi non sono, men che mai, quegli alunni ingessati, impauriti e manipolabili che popolavano l’immaginario scolastico del docente ottocentesco, attualmente improponibile, anacronistico e perciò stesso ridicolo;

– chiunque pretenda solo reverenza, inchini e incenso non può al contempo, in maniera credibile ed autentica, scendere sul terreno del vissuto esperenziale e quotidiano degli adolescenti senza rischiare di essere o ipocrita o incoerente;

– è dovere precipuo ed inderogabile di ogni educatore cercare, raggiungere e coltivare la comunicazione ed il dialogo educativo con i propri discenti, poiché questo contatto è il canale preferenziale per la trasmissione dei valori etici e dei contenuti culturali;

– spetta al docente la difficile missione di ‘agganciare’ l’alunno difficile o problematico, perché è lui il tutor nel rapporto educativo, tenendo ben presente che una relazione fallimentare nasce sempre da una mancata e/o inefficace comunicazione;

– che la formazione psico-pedagogica è l’imprescindibile prerequisito da conseguire per chiunque nella vita voglia occuparsi di cura della persona, di “educazione e cultura “;

– che la minaccia dell’interrogazione, delle note disciplinari, o del voto punitivo e ritorsivo sono da sempre la tomba di una sana e costruttiva relazione educativa e tra l’altro non hanno mai costituito valide alternative alle strategie didattiche e relazionali;

– che i docenti autoritari e solipsisti, fanno grave danno all’immagine della scuola tutta e, fatto ancora peggiore, arrecano pregiudizio irreversibile alla platea di allievi loro affidati, poichè disaffezionano gli stessi dalla loro disciplina e dal sentimento di appartenenza alla comunità educante;

Tutto ciò premesso, auspico vivamente che le competenze pedagogiche e relazionali, rigorosamente e giustamente prescritte anche nelle attuali certificazioni dei CFU per l’accesso alle professioni docenti, siano il presupposto deontologico, prima ancora che professionale, cui confrontarsi, da parte di chiunque ambisca seriamente e credibilmente a spendere la propria vita a favore della crescita umana e culturale delle generazioni emergenti.

Non esistono classi “brutte” o classi “belle”: ci sono solo relazioni fallite perché fondate su una comunicazione inesistente.

 

Alessandra Battista

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