Quest’anno sono 77 gli anni della nostra Repubblica. Sono anni ben portati?
Io credo di sì, nonostante alcuni acciacchi e delle pagine non limpide, se non tragiche, che hanno
segnato questa storia.
Comunque la si pensi, un giudizio su di essa è un po’, o forse tanto, anche un giudizio su noi
stessi.
Perché la Repubblica siamo noi, con i nostri valori, ma anche con i nostri limiti e le relative criticità.
Insomma, posso dire che sono anni ben portati, nonostante tutto.
Perché, come sempre, ci accorgiamo del valore di certe cose o valori non quando ce li abbiamo,
ma quando rischiano di esserci tolti, o limitati.
Tanto da chiederci: se “res publica” significa “bene comune”, e non semplice somma di interessi
individuali o di gruppo, è possibile che questo “bene comune”, col relativo senso di solidarietà e
responsabilità che comporta, possa emergere solo e durante i momenti difficili, le emergenze, le
sofferenze?
La stiamo vedendo questa solidarietà in questi giorni, con tanti giovani e meno giovani, in
Romagna. Come, forse, l’abbiamo dimenticata troppo in fretta quando tre anni fa ci si prometteva a
vicenda maggiore condivisione e senso di comunità (“ci si salva insieme”), stante la pandemia.
La Repubblica, attraverso lo Stato e le istituzioni, centrati sui valori costituzionali racchiusi in
particolare nei primi dodici articoli, è, insomma, il nostro comune destino. Una quotidiana fatica,
pur tra mille difficoltà.
Pensiamo, ad esempio, ai 67 governi che dal 2 giugno 1946 (secondo governo De Gasperi) hanno
segnato la nostra storia democratica, con una durata media di soli 14 mesi. Con tutte le
conseguenze che sappiamo quando ci rapportiamo con i nostri partner, anzitutto europei, per la
nostra credibilità politica e socio-economica.
Ogni governo cerca di porre rimedio a questo vulnus fatto di continua instabilità. Ma forse siamo
noi che non la sopportiamo, la stabilità. Per cui, per paradosso, è nella instabilità che ci
riconosciamo stabili. Dalla riforma Bozzi del 1983 a quella Renzi del 2016, alla odierna proposta
del governo Meloni, è tutta una rincorsa a tentare di rimettere ordine ai limiti più caratteriali e
strutturali, che di mera ingegneria istituzionale, di questa nostra storia. Tutti i precedenti tentativi,
ne siamo consapevoli, sono falliti, vedremo come andrà con questo.
L’unica vera novità, che io ricordi, riguarda la legge n.3 del 2001, con la Riforma del Titolo V della
nostra Costituzione. Una riforma oggi, però, segnata da diverse critiche di più parti politiche.
Perché solo con l’attuazione si sono scoperti certi difetti.
Quindi ci vuole prudenza e lucidità a cambiare la nostra Carta costituzionale. Un campanello
d’allarme per chiunque, anche per questo governo.
Perché la politica non vive solo di “regole del gioco”, non è cioè solo forma. Ma è sostanza, va cioè
vista nella vita dei suoi cittadini, nella quotidianità.
Per cui, morale della favola, noi italiani diamo il meglio di noi stessi come comunità, mi verrebbe da
dire, soprattutto nelle emergenze, ma poi manchiamo nella positività della quotidianità. Altro modo
per dire che abbiamo, gli uni per gli altri, poco “senso dello Stato”, poca percezione del bene
comune. Ma interessati soprattutto al proprio “particulare”, come ripeteva il vecchio Guicciardini.
Con l’unica eccezione, appunto, per le emergenze.
Se tanti giovani, all’estero e non solo, mostrano ogni giorno le nostre capacità, la nostra creatività,
ci piacerebbe, credo, che mostrassimo questa positività anche in altri campi del vivere assieme.
Quanto tempo ci vorrà ancora perché si formi un forte “senso dello Stato”, cioè della res-pubblica,
del bene comune? Pensiamo alla delicata questione fiscale, tanto per intenderci.
Non bastano, perciò, le regole del gioco per costruire una buona abitudine.
Quindi ci vuole prudenza e pazienza.
I nostri Costituenti, eletti il 2 giugno, scelsero come centrale il nostro Parlamento, ed un Capo dello
Stato super partes, come ruolo di garanzia
Ora, i tempi sono cambiati, e di cose da cambiare ce ne sono. Ma sappiamo anche che le formule
perfette non esistono.
La saggezza invece ci dovrebbe dire che migliorare si può e si deve, ma con pazienza, cioè con la
forza della politica come mediazione. Ed è il Parlamento la sede più appropriata, anche rispetto
alle stesse maggioranze di governo.
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