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La resilienza dei supplenti

E’ una parola del linguaggio tecnico, ingegneristico che indica la capacità di una struttura di resistere ad un urto improvviso senza spezzarsi. Ma il termine ha anche un significato più ampio, figurato, quello che più si attaglia ai supplenti della scuola: la capacità di una persona di conservare la propria integrità e il proprio scopo fondamentale di fronte ad una drastica modificazione delle circostanze.

E quante volte i supplenti della scuola italiana hanno dovuto manifestare questa capacità? Cambiare continuamente ambiente di lavoro, alunni, classi, colleghi, dirigente. Spostarsi in altre regioni, modificando abitudini e sconvolgendo la loro vita familiare. Attendere per mesi il pagamento dei loro stipendi, mentre le bollette si accumulano nel cassetto e il padrone di casa bussa alla porta per l’affitto. Sottostare al trattamento dell’ultimo arrivato, quello con l’orario peggiore e la cattedra dei rimasugli.

Quanta resilienza ci vuole per fare il supplente? Maria Elena Magrin, docente in Bicocca a Milano e da anni studiosa di resilienza, spiega che “ciascuno di noi ha un proprio bagaglio di resilienza. Solo che in alcuni è decisamente più pesante, non perchè siano persone superficiali o ingenue, ma perchè sanno vedere le crisi come sfide da superare non come problemi insormontabili e accettano che il cambiamento sia parte della vita non un disastro.

Atteggiamenti mentali che è possibile imparare. Molti di noi stanno bene quando hanno tutto sotto controllo, in famiglia, come nel lavoro. Per riuscire a mantenere questo stato, continuano ad aumentare le proprie competenze”

Resilienza, sì. Niente sotto controllo, tutto incerto. Vivono così i supplenti della scuola. Ma hanno una grande voglia di rimanere loro stessi, resistere e adattarsi. Che poi è la più alta forma d’intelligenza.

Silvana La Porta

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