In questi anni scolastici di pandemia, la retorica ha dominato la scena nei social, dove chi affrontava i temi di attualità con sano realismo appariva un novello Don Chisciotte della Mancia che combatteva contro i mulini a vento. È stato detto e scritto di tutto sugli argomenti più disparati, ma due di questi hanno avuto l’onore di essere di diritto posti al primo posto ex-aequo:
-La Didattica A Distanza o Didattica Digitale Integrata;
– I docenti latu sensu.
La DAD o DDI è, per alcuni, addirittura assurta al rango di metodologia didattica da continuare ad applicare in ogni dove e in ogni tempo, anche quando, così non è assolutamente. Infatti, coloro che l’hanno elevata a tal livello dovrebbero rispondere alle seguenti domande:
1. Dov’è la socializzazione?
2. Dove sono i rapporti interpersonali tra pari?
3. Dov’è l’inclusione?
4. Dov’è il recupero della dispersione?
5. Dov’è la flessibilità al contesto?
tanto per citarne alcune, le prime che mi vengono in mente. La DAD o DDI è servita a risolvere nell’immediato una situazione assolutamente imprevista anche con mezzi di fortuna almeno nella fase iniziale. La DAD o DDI non è tra le soluzioni dei problemi definitive, semmai è un generatore di problemi nel breve e medio periodo. La risposta univoca alle precedenti domande poste è una e una soltanto: la Didattica in Presenza. Chi porta all’esaltazione tale mezzo didattico dovrebbe anche chiedersi perché in questo periodo di DAD siano aumentati esponenzialmente i problemi psicologici degli studenti. Possibile che di qualsiasi cosa si voglia vedere solo una faccia della medaglia? L’altra, deve per forza essere nascosta come quella della Luna?
Che, poi, anche l’attuale Ministro dell’Istruzione voglia proseguire su questa strada quando le scuole italiane non sono assolutamente attrezzate per attuare una cosa simile, la retorica viene ad essere collocata nell’Empireo di dantesca memoria. Anche per quanto riguarda la professione docente non è da meno, soprattutto se a farla sono persone che si dicono colleghi.
Tra costoro figurano persone che dichiarano che la “nostra” professione è quella che ci consente di:
a. Lavorare poche ore;
b. Fare vacanze lunghe;
c. Fare un lavoro che non è logorante;
d. Fare un lavoro privo di ingiustizie;
e. Fare un lavoro dove non esistono gli sfruttamenti.
Dopo aver letto tali affermazioni, dirette o latenti che siano, mi sorge spontanea la domanda: ma costoro vivono sul pianeta terra o su Andromeda? La risposta che viene spontanea è del tutto evidente soprattutto considerato il periodo pandemico vissuto che certamente ha aumentato il carico di lavoro del corpo docente che per “non lasciare nessuno indietro” – nei limiti del possibile – ha fatto l’impossibile per fornire materiale da studiare in tutte le forme possibili con la tecnologia a disposizione.
Chi afferma che il lavoro del docente consente di lavorare poche ore forse non è un docente nel senso pieno del termine, ma una persona che si lascia vivere. Se le affermazioni precedenti fossero vere allora perché si parla tanto di stress da lavoro correlato? Perché i docenti sono una categoria a rischio Bournot? La professione docente è, particolarmente in questi ultimi anni, stata sempre più sminuita della sua funzione e della sua autorevolezza dove i docenti devono temere reazioni da parte di DS e genitori/famiglie per qualsiasi cosa facciano con un atteggiamento che dall’esterno è giudicato di eccessiva leggerezza.
Per favore, vogliamo riconquistare il “Nostro” vero ruolo? Iniziamo col finire di scrivere queste banalità che non fanno altro che dare fiato e visibilità a chi già è sufficientemente ostile alla categoria. Se siamo noi stessi docenti a fare simili affermazioni come pensiamo di poter rivendicare con forza i nostri diritti che vengono calpestati un po’ da tutti da lustri? A buon intenditor poche parole.
Federico Viviani (Scuola Bene Comune)