La risposta a tale domanda sembrerebbe persino ovvia.
In realtà, nella scuola delle meraviglie (tra banchi a rotelle, finestre spalancate d’inverno, classi pollaio) accade che – a dispetto del nome- la Retribuzione Professionale Docenti (RPD) non viene corrisposta ad un gran numero di docenti.
Del fatto, questa testata si è occupata in una recentissima diretta della Tecnica della Scuola live con Lucio Ficara e l’avvocato Dino Caudullo, in cui – tra le altre cose- sono state illustrate le azioni legali per porre rimedio a questa discriminazione.
Si tratta di un compenso di natura fissa e continuativa, non collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente (non è necessario dunque fare ore aggiuntive, progetti, svolgere particolari funzioni, ecc.), istituito dal CCNL “secondo biennio economico 2000/2001”.
In particolare, l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 stabilisce, al comma 1, che “sono attribuiti al personale docente ed educativo compensi accessori articolati in tre fasce retributive”, aggiungendo, al comma 3, che «la retribuzione professionale docenti, analogamente a quanto avviene per il compenso individuale accessorio, è corrisposta per dodici mensilità con le modalità stabilite dall’art. 25 del CCNI del 31.8.1999”
Si tratta di una somma niente affatto trascurabile (attualmente la “fascia minima” è di oltre 184 euro al mese) pari ad oltre il 10% dello stipendio.
La retribuzione professionale docentivienecorrisposta ai docenti di ruolo e persino ai precari con contratto annuale o fino al termine delle attività didattiche.
Non viene invece corrisposta a chi ottiene una supplenza fino al termine delle lezioni o altre tipologie di supplenza (malattia, maternità, ecc.), indipendentemente dalla durata della supplenza e persino nel caso di supplenze di durata complessiva superiore ai 180 giorni, supplenze equiparate per legge all’anno di servizio.
Accade così che i docenti assunti per “supplenze brevi” (che poi tanto brevi non sono) non solo vengono penalizzati nel trattamento per malattia e spesso vengono licenziati a ridosso dei periodi di sospensione delle lezioni (vacanze di Pasqua o Natale, “ponti” più o meno lunghi), ma addirittura ricevono anche uno stipendio inferiore, pur svolgendo lo stesso lavoro degli altri colleghi.
Com’è noto, lo Stato italiano è stato più volte bacchettato dalla Corte Europea – in particolare per quanto riguarda il settore scolastico- per la disparità di trattamento che riserva ai lavoratori precari, in violazione della clausola 4 dell’accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato: “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
Ragioni oggettive che con ogni evidenza non esistono.
Sulla questione, la Corte di Cassazione si è espressa da tempo, affermando che “l’art. 7 del CCNL 15.3.2001 (…) attribuisce la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze”.
Per questa ragione, sono stati presentati (anche con l’appoggio dei sindacati) migliaia e migliaia di ricorsi, per porre fine a questa inaccettabile discriminazione, con sentenze che vedono il Ministero soccombente in tutti i Tribunali.
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