Una delle rivendicazioni più frequenti legata alle difficoltà di rientro nelle province del sud dei docenti assunti al nord riguarda la necessità di estendere il tempo pieno nella scuola primaria e generalizzare la scuola dell’infanzia (rendendone magari obbligatorio l’ultimo anno).
La rivendicazione, più che comprensibile in linea di principio, deve però fare i conti con alcuni dati di fatto incontestabili.
Incominciamo con la questione del tempo alla primaria: è chiaro che questo modello organizzativo può funzionare solo a condizione che esistano le strutture necessarie (mensa innanzitutto), cosa che non sempre avviene (basta leggere qua e là le lamentele e le proteste che circolano in rete per sapere che in non poche città del sud il servizio mensa prende avvio con mesi di ritardo rispetto alla data di inizio delle lezioni).
Ma c’è anche il fatto che –come abbiamo scritto in altro articolo – le famiglie non sono così interessate al tempo pieno che gli insegnanti vorrebbero.
Addirittura in alcune regioni la richiesta del tempo pieno non va oltre il 15%.
La stessa generalizzazione della scuola dell’infanzia richiede un adeguato “parco” di edifici scolastici, a maggior ragione se si stabilisce che l’ultimo anno debba essere obbligatorio: e in questa fase non è facile porre a carico degli enti locali ulteriori obblighi finanziari.
E c’è ancora una osservazione da fare: tutte le misure di cui si è detto non incidono per nulla sulla disponibilità di posti della scuola secondaria (e soprattutto su quella di secondo grado) che, anzi, in un futuro non troppo lontano dovrà fare i conti con il decremento demografico che provocherà inevitabilmente una ulteriore contrazione degli organici. A meno di non incominciare a pensare a numeri massimi di alunni per classe variabili da regione a regione.
Insomma, ampliare gli organici per affrontare e risolvere i problemi dei docenti che hanno dovuto trasferirsi al nord per poter lavorare è una ipotesi molto suggestiva ma difficile da attuare in tempi rapidi.