I dati Invalsi hanno certificato che gli studenti del Mezzogiorno ottengono risultati molto al di sotto della media nazionale in tutte le prove e per ogni grado di scuola. Centrale è la qualità dell’insegnamento. Ed è lì che bisognerebbe intervenire.
In sintesi, Lavoce.info apre così una analisi sulla scuola sempre più messa male del Sud. E proprio su questa analisi, che ormai tutti i prof conoscono, propone delle ricette per rimettere in carreggiata l’istruzione meridionale, partendo proprio dai prof.
Fra l’altro, fa presente Lavoce.info, il gap aumenta man mano che si arriva ai gradi superiori del processo formativo che può essere spiegato dal divario economico, considerato che le condizioni socio-economiche disagiate non aiutano. Ma, viene sottolineato, al Sud fanno male anche gli studenti che provengono da famiglie “agiate”. “Sembrerebbe piuttosto un problema di malfunzionamento delle scuole, che non è facilmente attribuibile a una carenza di risorse finanziarie, data la notevole disponibilità di fondi europei di cui il Sud ha goduto negli ultimi anni.
Colpisce altresì l’assenza di iniziativa da parte ministeriale, ma il vero problema “risiedere nel basso livello di coinvolgimento e motivazione degli insegnanti. Ma perché i docenti che lavorano nelle scuole del Sud fanno peggio dei loro colleghi (molti dei quali sono meridionali) che operano nelle scuole di altre regioni italiane? L’erraticità delle modalità di reclutamento degli insegnanti utilizzate nell’ultimo decennio (si pensi alla sanatoria che ha immesso in ruolo i diplomati magistrali) non ha certamente contribuito alla selezione dei candidati migliori in termini di competenze o maggiormente vocati alla trasmissione della conoscenza. Al Sud a ciò si aggiunge un contesto sociale poco attento al valore dell’istruzione.
Indubbiamente esiste una parte di insegnanti efficaci, competenti e motivati. Il problema (di natura squisitamente politica) è come indurre questa parte a rivelarsi e come trasferire a essa potere decisionale sull’organizzazione della scuola. Attualmente molti docenti (anche tra quelli meno competenti) sono impegnati a proporre e poi a realizzare progetti di utilità molto incerta. Perché invece non concentrare le energie su quello che certamente serve (rafforzare le competenze di base) e offrire la possibilità a gruppi di insegnanti (per esempio quelli di una sezione) di candidarsi a proporre pratiche didattiche che siano efficaci nell’accrescere le competenze degli studenti e di procedere poi con sistemi rigorosi a accertarne l’efficacia? Si potrebbero individuare così docenti di comprovata efficacia ai quali andrebbe riconosciuto formalmente un ruolo di preminenza (eventualmente associato a un bonus retributivo più adeguato della attuale “valorizzazione del merito”), coinvolgendoli anche nella formazione dei propri colleghi e aprendo per loro una corsia preferenziale per la posizione dirigenziale nelle scuole.
Tutto questo è impossibile da realizzare con l’attuale legislazione sul pubblico impiego e nel contesto delle relazioni sindacali di oggi.
“Ma l’emergenza evidenziata dai dati sugli esiti scolastici richiede l’adozione di strumenti emergenziali di contrasto, che facciano leva su risorse esistenti, rigorosamente selezionate. Temiamo invece i progetti speciali a pioggia per la loro limitata capacità di discriminazione e di valorizzazione delle buone pratiche non risulteranno minimamente incisivi nel ridurre i divari”
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