La mamma di un ragazzo autistico di 19 anni ha chiesto alla scuola di bocciare il proprio figlio agli esami di Stato. La richiesta, che può sembrare strana, ha invece un suo fondamento, perché per i genitori voleva dire consentire al ragazzo di “cementare le competenze relazionali che stava acquisendo” prima che scoppiasse la pandemia, durante la quale questi ragazzi con problemi sono stati per lo più lasciati soli e dunque sprovvisti di quella pur minima preparazione socialmente adeguata.
Ma l’interrogativo più grosso dei familiari riguarda il futuro del loro figlio: dal prossimo settembre infatti cosa farà? E cosa farà seppure provvisto di un titolo di studio? Quale futuro insomma per questo ragazzo autistico di 19 anni?
La stessa domanda se la pongono altre miglia di famiglie nella stessa condizione, mancando progetti ponte per i giovani affetti da autismo, proprio a causa della pandemia. E la mamma aggiunge pure: “Siamo sicuri che tutti questi ragazzi autistici maturandi abbiano acquisito le competenze che realmente servono a loro per affrontare e costruire il loro progetto di vita? Siamo sicuri che questa scuola formativa sia anche inclusiva?”
Domande importanti quelle della madre, alla quale è difficile rispondere, mentre il problema, pesante, per queste famiglie rimane: dopo la scuola gli adulti Down e agli autistici dove finiscono? Chi si prenderà cura di loro? Quali opportunità di inserimento sociale verrà loro garantito? Quale diritto avranno all’esercizio delle pari opportunità?
Nella maggioranza dei casi, tranne piccole percentuali di giovani Down che trovano qualche piccolo lavoro, i disabili adulti rimangono in carico delle loro famiglie, con sostegni economici per lo più insufficienti se si considera le spese che le famiglie devono affrontare nell’assistenza diretta e nella sorveglianza giornaliera.