La cronaca di questi ultimi giorni ci informa su episodi di detenuti pestati dagli agenti della Penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere che, all’interno dell’opinione pubblica, stanno creando indignazione da un lato e sollecitazione a pene più severe nei confronti di persone colpevoli di reati gravissimi dall’altro.
La Costituzione italiana all’ art. 27 sancisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
La difficile conciliazione tra la funzione rieducativa della pena e l’ esercizio del potere disciplinare, a volte, mettono a dura prova il complesso e delicato lavoro della polizia penitenziaria che, tuttavia, non può in alcun modo recare offesa alla dignità dell’uomo.
Il principio di risocializzazione si oppone, pertanto, al concetto di carcere inteso come discarica sociale.
Indubbiamente, l’ambiente carcerario è un ambiente difficile, a tratti impregnato di violenza e disumanità, per questo, i recenti fatti di cronaca devono costituire l’input per trasformarlo in una vera e propria sfida per l’educazione.
La polizia penitenziaria ha un compito fondamentale, ma per rendere il carcere più umano e far sì che diventi l’inizio di un percorso di riscatto per tutti, è indispensabile una riprogettazione educativo-esistenziale che esalti il valore universale della persona, insito nel concetto stesso di pena.
Mai come oggi si è avuta un’abbondanza di norme a difesa dei diritti di tutti e di ciascuno e mai come oggi si parla tanto di giustizia.
Quanto accaduto nel carcere d Santa Maria Capua Vetere è, dunque, espressione di una lunga serie di pseudovalori che soffocano ogni azione educativa finalizzata ad un agire positivo e costruttivo, veramente capace di trasformare e rendere più umana la società e il mondo intero.
Si rivela così nella maniera più ampia e complessa il compito specifico degli istituti di pena che devono guidare, aiutare e favorire i processi di crescita della persona e, soprattutto, cogliere e far emergere l’autenticità e il valore nascosto di esistenze spesso difficili e problematiche che sospingono l’uomo verso una dimensione inautentica e lo derubano della sua più autentica dignità.
Riflettere su questo significa rileggere con spirito critico e costruttivo il significato e il valore dell’educazione che deve operare per il successo, combattere per la vittoria e trovare in ogni momento, anche quelli più difficili, il coraggio e la forza di predisporre significativi spazi formativi in cui la vita dell’uomo trova un significato.
Il problema dell’ educazione dei carcerati porta necessariamente a domandarsi se esiste veramente la possibilità di sperimentare, in un clima educativo aperto e fiducioso, la gioia della scoperta di un nuovo e più edificante stile di vita.
Ad una simile domanda occorre dare risposte il più possibile capaci di rendere condivisa, serena, accettabile e credibile la pena. In parole più concrete, i processi formativi per influire positivamente sulla rieducazione dei detenuti devono continuamente essere animati dalla convinzione che anche di fronte ad accentuate povertà morali l’educazione è sempre possibile.
Pertanto, gli atteggiamenti caratteristici e fondamentali degli educatori devono poter trovare nel dialogo, nel rapporto vero e significativo la forza essenziale per correggere gli errori.
Sarebbe, infatti, un errore lasciarsi suggestionare da situazioni di vita segnate dalla immoralità o, peggio, lasciarsi vincere dalla confusione e dalla sfiducia. La vera educazione non si abbandona a facili illusioni, ma neppure si lascia sconcertare dalle difficoltà e dai possibili fallimenti.
Quanto più grande è la convinzione che per ogni uomo c’è la prospettiva e la possibilità di cambiare, tanto più forte e efficace risulta l’intervento educativo.
Non è soltanto una nostra convinzione, ma è la stessa condizione dell’uomo che può spingerlo a ricercare e conquistare, a riprendersi in mano la propria dignità di persona per accostarlo sempre più e sempre meglio alla vera forma del suo essere.
L’incontro con le differenti realtà esistenziale è il punto d’avvio di un rapporto essenzialmente umano che diviene crescita graduale, ma anche strumento dinamico e fecondo capace di modificare l’uomo dall’interno.
C’è dunque da augurarsi che pur nel buio della vita la persona si lasci illuminare dall’incontro educativo e lo ponga come criterio per una vera e reale trasformazione di sé.
Fernando Mazzeo