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La riforma degli Istituti tecnici e professionali

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Fra i “lasciti” del governo Draghi e del ministro Bianchi, uno prevede il coinvolgimento di metà degli studenti delle scuole superiori: la riforma degli istituti tecnici e professionali, inserita nel D. L. n.144/22 (misure urgenti per la realizzazione del PNRR).

Queste le novità per gli Istituti Tecnici:

• rafforzare le competenze linguistiche e STEM e orientare alle discipline del piano “Industria 4.0”, per connettersi al tessuto socioeconomico e valorizzare la didattica per competenze;

• dare continuità tra l’istruzione tecnica e quella terziaria, riconoscendo crediti formativi universitari ai tirocini svolti nel quinto anno di studi;

• realizzare “Patti educativi 4.0”, affinché istituti, imprese, enti di formazione, ITS Academy, università e centri di ricerca condividano risorse professionali, logistiche e strumentali;

• strutturare un piano formativo per i docenti, in base al territorio;

• erogazione diretta da parte dei CPIA (Centri provinciali istruzione adulti) di istruzione tecnica non in rete con le istituzioni scolastiche o non sufficienti rispetto alle richieste del territorio;

• certificare le competenze degli studenti dopo il primo e secondo biennio, in corrispondenza con il secondo e il terzo livello del Quadro europeo delle qualifiche;

• nuovi quadri orario e insegnamento per UdA.

Entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto, il Ministero adotterà regolamenti che ridefiniscano i curricoli vigenti (del 2010). Con decreto del Ministro dell’istruzione, di concerto con il MEF, saranno definiti gli indirizzi e i quadri orari, senza maggiori oneri finanziari. Gli obiettivi del provvedimento sono: rafforzare le competenze linguistiche, storiche, matematiche e scientifiche, e la connessione al tessuto socioeconomico, favorendo laboratorialità e innovazione; valorizzare la didattica per competenze, la progettazione interdisciplinare e le unità di apprendimento; aggiornare il profilo educativo, culturale e professionale dello studente e incrementarne la “flessibilità”. Per la formazione dei docenti, si prevede un piano legato ai contesti territoriali: novità che avvicina i Tecnici alla riforma già avviata nei Professionali. La riforma dei Professionali punta a rafforzare il rapporto della scuola con il mondo del lavoro, in linea con le richieste di innovazione, sostenibilità ambientale e competitività del PNRR, con l’aggiornamento nelle scuole del Progetto formativo individuale, e semplificando le procedure per il passaggio dagli istituti professionali agli Iefp (Istruzione e Formazione Professionale). È previsto un Osservatorio nazionale per l’istruzione tecnica e professionale con funzioni consultive e di proposta anche per l’aggiornamento degli indirizzi di studio e linee guida, composto da 15 membri, in carica per un anno, con esperti di istruzione tecnica e professionale, esponenti di organizzazioni datoriali e sindacali (maggiormente rappresentative), e delle Regioni, degli enti locali, del sistema camerale, dell’INVALSI e INDIRE.

 Quali sono le criticità del provvedimento? Innanzitutto la riforma modifica gli ordinamenti dei Tecnici senza prevedere investimenti; inoltre, vuole allineare i curricula alla “domanda di competenze” che proverrebbe dal tessuto produttivo, malgrado le “professionalità” oggi richieste dalle imprese possano essere già obsolete già domani. Troppi, poi, i riferimenti al “tessuto socio-economico”, alle “esigenze del territorio”, alla “specificità dei contesti territoriali”, laddove gli studenti devono formarsi con capacità complessive e prospettive ampie in un mondo del lavoro globalizzato e mobile e, soprattutto, come cittadini/e capaci di analizzare il contesto economico- sociale con spirito critico e autonomia. E gli attestati delle competenze, dopo il primo e secondo biennio, rischiano di indirizzare gli ordinamenti verso percorsi quadriennali e destrutturarne l’organicità, mettendo in crisi anche la validità dell’esame di stato.

Questa riforma può danneggiare un sistema che ora mantiene attrattività e che è caratterizzato da un biennio unitario (con maggiore possibilità di orientamento delle scelte a 16 anni) e da un’impostazione formativa legata alle opzioni nazionali. Sui CPIA la possibilità di “erogazione diretta” potrebbe consentire di includere il collegamento al secondo livello (serali), ma per ora il percorso è indefinito. E soprattutto il provvedimento produce una riorganizzazione didattica imposta dall’alto, gravosa per i docenti e per la gestione degli organici, con orientamenti didattico-pedagogici che limitano la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale, insistendo sulla “didattica per competenze, caratterizzata dalla progettazione interdisciplinare e dalle unità di apprendimento”, a fronte dalle diverse metodologie didattiche praticate dai Collegi e dai singoli docenti. Sono previste attività formative indefinite, senza oneri finanziari. Inoltre, l’offerta formativa torna ad essere canalizzata tra chi si avvia all’istruzione liceale e chi punta allo sbocco lavorativo, con competenze acquisite nei Tecnici e nei Professionali. La flessibilità di orientamento e formazione, il cambiamento in corso di studi (con scelte più consapevoli e di riscatto culturale e sociale) vengono eliminati a favore di un curriculum fortemente connotato già dal primo biennio.

Infine, a fronte del rituale richiamo ad interventi “senza oneri a carico della finanza pubblica”, sarebbe necessario un investimento di un miliardo di euro per il ripristino del tempo scuola sottratto dalla riforma Gelmini alle scuole secondarie di secondo grado (incremento di 22.000 docenti per ripristino di 3 ore settimanali, ricostituzione delle cattedre con meno di 18 ore per utilizzo delle contemporaneità e ricalcolo dell’organico dei corsi serali).

Carlo Salmaso COBAS Scuola

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