La riforma degli istituti tecnici e professionali di Valditara è legge.
L’istruzione tecnica e professionale sarà riorganizzata su un modello quadriennale, eliminando quindi un anno di scuola, per “avvicinare ancora di più il mondo scolastico alle richieste del mercato del lavoro”.
Si tratta di un processo di smantellamento del sistema scolastico pubblico che gradualmente ha spinto la scuola in bocca ai privati, attraverso l’istituzione dei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP), l’ex alternanza scuola-lavoro (PCTO) e la novità dell’ultimo anno del docente tutor e del docente orientatore.
Da anni ci dicono che lo scopo della scuola è dover garantire occupazione e crescita economica, che bisogna che si adatti alle imprese, spostando il focus dalla responsabilità economiche che la classe dominante ha nel produrre stagnazione, precarietà e sotto-occupazione. Non si affrontano mai, così, i problemi strutturali della più importante istituzione culturale del paese.
Questa volta si prevede l’aumento del monte ore per fare spazio ad attività legate al tessuto economico locale che, in
termini materiali e nel contesto dell’autonomia differenziata, significa inasprire ulteriormente il divario tra regioni ricche e povere.
La scuola italiana è classista
L’insistenza e la rimodulazione del quadro orario con l’aumento delle ore dedicate alle materie di indirizzo, alla specializzazione, alla professionalizzazione, e “alle attività dedicate al tessuto economico locale” a discapito dell’asse culturale comune, aumentano la separazione culturale tra percorsi tecnici-professionali e liceali, tra un sapere presuntamente “utile” e una preparazione pre-universitaria, che durerà un anno in più.
Si tratta di una idea che le destre condividono con il centrosinista, come d’altronde l’autonomia differenziata.
Le sperimentazioni quadriennali dei tecnici professionali erano già partite con Bianchi, ministro di Draghi in quota Pd, per “allineare il curricolo degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo del Paese”. La forte differenziazione regionale passa anche dall’accreditamento regionale degli ITS Academy, anche questi riformati da Bianchi, i quali si configurano come fondazioni a gestione pubblico-privato.
Riforma sì, risorse no
La riforma della filiera tecnico-professionale sarà priva di finanziamenti, con la previsione di lasciare per ora invariati gli
organici dei docenti, ma non si sa ancora per quanto.
Nel frattempo la scuola continua a soffrire delle stesse criticità che si porta dietro da sempre: dallo stato in cui versa
l’edilizia scolastica; al personale sempre più precario; alla mancanza di un serio percorso di formazione e reclutamento.
Quanti anni di scuola?
Se, in un contesto afflitto da precariato e diseguaglianze che richiede ben altre priorità, si volesse eliminare un anno
scolastico, non è così che di dovrebbe fare. Così si priva di una preparazione culturale adeguata quel 50% di popolazione che frequenta le scuole superiori tecnico professionali rispetto a chi frequenta un liceo.
Una riforma di questo genere dovrebbe invece puntare a intervenire su tutto l’ordinamento scolastico mettendo al centro del successo formativo lo sviluppo culturale di tutte e tutti, indipendentemente dalla famiglia e dalla Regione d’Italia in cui si è nati.
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