I dati relativi alle nuove iscrizioni per l’anno scolastico 2019/2020, anche se non definitivi, ritengo siano interessanti e confortanti, soprattutto per quanto concerne i risultati dei licei. I media, ma anche gli esperti e gli addetti ai lavori del mondo della scuola italiana, hanno giustamente sottolineato la sia pur minima inversione di tendenza che il liceo classico sembra aver registrato (6,8% contro il 6,7% dello scorso anno). Negli anni passati, infatti, si era verificata una sorta di smottamento, un’emorragia d’iscritti che sembrava far presagire l’imminente fine di una formazione culturale (quella basata sullo studio delle lingue e delle letterature greca e latina) che, dall’Unità d’Italia in poi, aveva avuto il compito di preparare le “future classi dirigenti” del Paese.
Molti, di fronte a questo inopinato declino, avevano discettato sull’irreversibile ascesa di una formazione squisitamente tecnica, nella quale il saper fare e l’abilità nell’uso delle moderne TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), finalizzate ad un rapido inserimento professionale in una società caratterizzata da tumultuosi e rapidi cambiamenti a livello economico, avrebbero ridotto ad un ruolo del tutto marginale la conoscenza disinteressata e critica della realtà, così come il gusto e la pura fruizione della bellezza artistica.
Contemporaneamente, nelle pieghe e negli interstizi più profondi e meno appariscenti della società italiana, si affermavano atteggiamenti e comportamenti e opinioni che prendevano di mira valori etico-sociali apparentemente indiscutibili e largamente condivisi: la solidarietà, l’accoglienza, il dialogo, la civile discussione, financo la buona educazione. Valori che, improvvisamente e da circa un decennio, sono diventati bersagli di lazzi e sberleffi, omogeneizzati e unificati in una sola “terribile” e vituperata parola: BUONISMO, oggetto preferito di innumerevoli velenosi “post” e raduni, nei quali è diventato molto trendy (lo è tuttora, ahimè) l’uso ripetitivo del termine “vaffa” (qualcuno, su questo termine, ci ha fondato perfino un fortunato movimento politico).
Considerato, quindi, simile contesto storico e sociale, sembrava non essere rimasto alcun margine per la sopravvivenza di una cultura che racchiude in sé gli aspetti essenziali, più elevati, più raffinati e “fondanti” della nostra civiltà occidentale.
Che senso avrebbe, infatti, nell’attuale situazione sociale e culturale del Paese, molto simile ad un Bellum omnium contra omnes, continuare a mantenere in vita, testardamente, un tipo di percorso scolastico che, per quanto concerne in generale il liceo, intende fornire “allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni, e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali”? (Cit. dal PECuP dei licei, D.P.R. 89/2010).
Che senso avrebbe, inoltre e a maggior ragione (per scendere più nel dettaglio, con esplicito riferimento alle finalità educative tipiche del liceo classico), difendere con accanimento terapeutico una scuola che pone, come peculiare e proprio obiettivo, lo “studio della civiltà classica e della cultura umanistica. Favorisce una formazione letteraria, storica e filosofica idonea a comprenderne il ruolo nello sviluppo della civiltà e della tradizione occidentali e nel mondo contemporaneo sotto un profilo simbolico, antropologico e di confronto di valori. Favorisce l’acquisizione dei metodi propri degli studi classici e umanistici, all’interno di un quadro culturale che, riservando attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali, consente di cogliere le intersezioni tra i saperi e di elaborare una visione critica della realtà. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze a ciò necessarie”? (Cit. dal PECuP del liceo classico, D.P.R. 89/2010).
Che senso avrebbe, infine, affermare (come ancora si ostinano molti inguaribili nostalgici) che la formazione offerta dai licei e, in particolare, dall’indirizzo classico, rappresenta il percorso più indicato e più efficace per sviluppare quelle “Otto competenze chiave” che, enunciate a suo tempo (2006) dalle Istituzioni Europee, Parlamento e Consiglio dell’UE, sono state alcuni mesi fa (maggio 2018) aggiornate nell’elenco che segue: “1) competenza alfabetica funzionale; 2) competenza multi linguistica; 3) competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4) competenza digitale; 5) competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6) competenza in materia di cittadinanza; 6) competenza imprenditoriale; 8) competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali”? Oltretutto – aggiungiamo – in una prospettiva internazionale che registra la crisi degli ideali europeistici e il diffondersi, in tutti i Paesi dell’Unione, di ideologie e movimenti sovranisti e nazionalisti?
Nonostante queste ragionevoli domande, i dati dei quali si parlava all’inizio di queste riflessioni sembrano smentire le previsioni più pessimistiche. Le scelte compiute dai giovani studenti, e dalle loro famiglie, sembrano esprimere una rinnovata fiducia in una cultura che, molto probabilmente, un’ancora notevole maggioranza di nostri concittadini considerano quale il migliore baluardo contro la deriva e il dilagare dell’odio, della paura, della disumanizzazione.
Francesco Sirleto
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