Riceviamo e volentieri pubblichiamo la recensione del dirigente scolastico e docente di storia del cinema Eusebio Ciccotti del film tedesco “La Sala Professori”, candidato ai premi Oscar 2024 come miglior film straniero, pellicola drammatica incentrata sul mondo della scuola.
Siamo in una moderna scuola nella Germania di oggi. Un comprensivo che va dalla primaria alla prima parte della secondaria superiore, ossia sino a studenti di 16-17 anni. Bella palestra, scale ampie e comode per i piani superiori, un androne somigliante a una piccola piazza, aule dotate di LIM. Una sala professori con macchina de caffè. Istituti così li abbiamo anche in Italia. Anche qui, come in Italia, ci sono furti di denaro, matite, oggetti vari. Davanti all’ennesima sottrazione di contante da un portafoglio di un docente che lo ha lasciato nel soprabito, siamo in una seconda media, se ne deve parlare in una riunione.
La dirigente, come diciamo noi, la nervosa dottoressa Gummich (in parte Bettina Bohm), indice una riunione d’urgenza. Vengono convocati i docenti e i due ragazzi rappresentanti di classe. Il professor Liebenwerds (lingua tedesca), dai modi bruschi (abilmente scostante Michael Kammer), interroga i due ragazzi. La professoressa Nowak (matematica e scienze motorie), si oppone. Ma poi il docente riesce a farsi indicare un nome, dall’elenco della classe, da uno dei due ragazzi. Chiamato il “colpevole”, la preside gli fa svuotare il contenuto del portafoglio: secondo gli adulti, ci sono troppe banconote. Convocati subito i genitori, reagiscono indignati. “Ha pensato a mio figlio perché siamo turchi!”. Si difende la madre. “È una accusa di razzismo – rincara il padre -, nostro figlio non ruba. Lui sa che gli spezzerei le gambe se lo facesse. I soldi li ha avuti stamattina per acquistare un nuovo gioco per il computer”. Preside e docenti si scusano.
La giovane docente Nowak (Leonie Benesch: recita non solo con gli occhi, ma con ogni muscolo del viso: brava quanto la Novak di Alfred Hitchcock), una di quelle che crede nella scuola, amatissima in classe, colei che sostiene sempre che bisogna analizzare prima di teorizzare, ha notato qualcosa in sala docenti. Una collega rubacchia il resto delle monetine della macchina del caffè. La Novak lascia il suo giaccone sulla sedia, con i soldi nel portafoglio, e accende il computer sul tavolo, chiudendolo, di fronte al soprabito. Quando successivamente vede la ripresa, ecco inquadrato il braccio con un pezzo di una camicetta a fiori, mentre sottrae il portafoglio dalla giacca.
Eccola in un ansimante giro dell’istituto. Sala docenti, corridoi, ma anche l’adiacente ufficio amministrativo. Cerca la camicia a fiori. La segretaria Khun (Eva Lobau: perfettamente ambigua) indossa quella camicetta. Mostra il video alla preside. Convocata la signora Kuhn, questa reagisce gridando istericamente, dichiarandosi innocente. Non viene più a scuola. Ufficialmente “in ferie”. La voce si è sparsa. Suo figlio, il dodicenne Oskar (Leonard Stettnisch: recita da adulto consumato), è nella classe della Novak. Il gruppo classe si divide: colpevolisti e innocentisti. Oskar rischia il bullismo. Lei, lo difende, e un giorno gli regala il cubo di Rubik
Intanto i ragazzi della redazione del giornale scolastico, chiedono una intervista alla Novak. Lei accetta. Pian piano le fanno pesare la sua nazionalità polacca, e le accuse non provate a carico della madre di Oskar, oltre all’abuso per aver registrato immagini a scuola. La giovane e bella prof Novak è in crisi. Poco dopo Oskar esasperato dagli attacchi di bullismo dei compagni, ma sempre difeso dalla Novak, che vuole solo la verità, spacca il vetro della porta della sala docenti, entra e ruba dalla borsa della Novak il portatile. Fugge da scuola verso il centro della città, rincorso dalla Novak. Si fronteggiano su un ponte. Sotto scorre un fiume. Il portatile vola giù nel fiume.
Oskar è sospeso. Ma viene a scuola. Si siede al banco e non vuol andar a casa. “Oskar, cerca di capire. Sei sospeso devi andare a casa! Se non vai ci costringi a chiamare la polizia”. Oskar non si stacca dal banco. Un interminabile giorno. Fuori è l’imbrunire, ora pure piove. La Novak si è chiusa dentro con Oskar, per difenderlo dalla preside e dai due docenti che hanno perso la pazienza. Si mette a correggere i compiti. Si capisce che la Novak gli vuole bene. Oskar tira fuori dallo zainetto il cubo di Rubik. Muove i quadratini rapidamente, in pochi secondi mostra i lati del cubo con i diversi colori. È sera. Due poliziotti lo portano via con la sedia.
Il “pasticciaccio” scolastico del turco Ilker Çatak, che rimane aperto alla Carlo Emilio Gadda (lì un cadavere; qui il cadavere simbolico è la “cattiva” educazione degli adulti: preside, docenti, genitori lontani dalla verità e dalla vera comunicazione), è forse uno dei film più riusciti del cinema tedesco sulla scuola.
Il ricorso alla steadycam segue i personaggi in continuo movimento, nelle aule, in palestra e lungo i corridoi, ci rimanda al Laurent Cantet di La classe. Seppur con qualche asperità nello script (i ragazzi sono bravi nello spiegare l’eclissi secondo Talete, ma il giorno dopo confondono astrologia con astronomia) il tema della disonestà educativa e intellettuale è ben reso. Sul piano della ricostruzione documentaria del sistema educativo tedesco non ci sfugge l’inesperienza della preside che chiede ai minori di svuotare il portafoglio, o la Novak che lascia la classe senza sorveglianza o spedisce fuori un ragazzo indisciplinato. Speriamo sia solo fiction.
Eusebio Ciccotti
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