Home La Tecnica consiglia La salute mentale dei/delle giovani peggiora: ma i COBAS contestano l’utilità degli...

La salute mentale dei/delle giovani peggiora: ma i COBAS contestano l’utilità degli psichiatri nelle scuole

CONDIVIDI

Breaking News

April 01, 2025

  • 250 giorni di scuola? Macché, solo un pesce d’aprile. 200 giorni sono più che sufficienti 
  • Valutazione dirigenti scolastici, decreto pubblicato: ecco il nuovo Sistema e da quando sarà applicato 
  • Studentessa offende compagna sui social: i genitori devono risarcire la vittima con 15 mila euro 
  • Classe in gita all’estero perde l’aereo, il nuovo volo costa 350 euro in più: i genitori non ci stanno 

In occasione della Giornata della Salute Mentale, celebrata il 10 ottobre scorso, l’Istituto IPSOS  (Istituto di sondaggi che si colloca tra le più grandi società al mondo nel settore delle ricerche di mercato), ha condiviso i risultati della quinta edizione del World Mental Health Day Report, lo studio condotto in 31 Paesi che esamina le percezioni delle persone riguardo la salute mentale. Dall’indagine emerge che a livello globale il 32% della popolazione riporta una forma di disturbo mentale (+5 punti vs 2022), mentre in Italia la percentuale scende al 28%, ma il dato risulta in crescita di 6 punti rispetto al 2022, mentre nel 2023, il 60% degli italiani ha dichiarato di aver affrontato almeno una difficoltà personale, in particolare le donne e i giovani. Secondo i dati la percentuale di donne che percepiscono un disagio psicologico è salita dal 31% nel 2018 al 51% attuale. Inoltre, il 55% delle donne della Generazione Z indica la salute mentale come uno dei maggiori problemi di salute, rispetto al 37% dei giovani maschi. Questo, si afferma nell’indagine, suggerisce che le donne siano più fragili rispetto agli uomini in termini di salute mentale (!?!). Inoltre, dicono gli analisti, non c’è “consapevolezza” del proprio disagio, perché nove italiani su dieci (l’88%) valutano la propria condizione mentale come buona o media, mentre un quarto della popolazione italiana (il 26%), manifesta sintomi riconducibili a depressione, ansia o stress in forma grave o molto grave. 

Sempre nel 2024, il Congresso dell’Associazione Culturale Pediatri, ha lanciato un allarme: “quelle psichiatriche sono le malattie più diffuse tra bambini e adolescenti, in fortissima crescita”. Fra queste, in particolare, sarebbero da tenere d’occhio le manifestazioni connesse all’autolesionismo che, dalle 250 consulenze l’anno nel 2013, meno di una al giorno, sono passate alle 1850 consulenze annue nel 2022 e 2023, cinque al giorno, e di queste il 60% riguarda l’autolesionismo, fenomeno sostenuto da depressione e disturbi dell’umore, e anticamera del suicidio, come spiega Stefano Vicari, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria Infantile del Bambin Gesù. Non a caso, nel recente congresso nazionale Società Italiana di Neuro-Psico-Farmacologia (SINPF), svoltosi a Milano dal 22 al 24 gennaio scorso, i presidenti dell’associazione lanciano addirittura un appello, affinché gli psichiatri entrino nelle scuole “I medici psichiatri e la salute mentale devono tornare nelle scuole, nel periodo della vita in cui nel 50% dei casi iniziano a comparire i disturbi mentali”. Bisogna sfruttare al massimo, sostengono, quel periodo della vita che i ragazzi passano a scuola per sensibilizzarli su questi temi e per valutare interventi precoci. A dare manforte a tale prospettiva, il Collegio nazionale dei direttori dei Dipartimenti di Salute mentale (DSM), alla luce dell’indagine IPSOS, afferma essere indispensabile attuare interventi di prevenzione in tutte le fasce di età, fin dalla gravidanza, con particolare attenzione a stili di vita e contesto familiare […]”. Con quest’ultima affermazione, che tratteggia uno scenario davvero inquietante, con le scuole usate come luoghi per diagnosticare precocemente “malattie” mentali e attenzionare stili di vita familiari e comportamenti non adeguati, sin dallo stato di gravidanza delle donne, entriamo in una questione complessa e molto dibattuta.

Da un lato, la salute mentale dei giovani appare come una priorità e molti esperti suggeriscono che la prevenzione precoce e l’accesso al supporto psicologico nelle scuole siano fondamentali per identificare e trattare i disturbi prima che diventino gravi; dall’altro lato, però, non si può fare a meno di chiedersi se è l’elevata presenza di disturbi a richiedere un così alto numero di terapeuti da inserire nelle scuole, oppure se non sia l’eccesso diagnostico ad alimentare la tendenza a identificare più “malati” di quanti non ce ne siano in realtà. In effetti, in nessuna delle analisi riportate, si trovano riferimenti a dati statistici che riguardino il rapporto tra gli interventi psichiatrici e la loro efficacia nella cura dei “pazienti”. In uno studio apparso alcuni anni fa sull’American Journal of Psychiatry, sono stati riportati, invece, dei dati interessanti su tale rapporto. Dal 1895 al 1955, infatti, il numero dei pazienti affetti da disturbi psichici conclamati che hanno ricevuto giovamento dalle terapie, era circa il 35%, una percentuale che sale ancora, positivamente, negli anni Settanta, arrivando al 48%, per precipitare, però, nuovamente, dal decennio successivo sino ad oggi, ritornando ai livelli degli anni Cinquanta.

Lo studio sembra confermare quanto associazioni e pazienti sostengono da tempo, ovvero che la tendenza ad utilizzare un regime terapeutico basato sulla medicalizzazione e non sulla guarigione dei pazienti, sia semplicemente “più pratico” e funzionale alla rimozione “ collettiva” del disagio, ma non abbia effetti positivi sulla soluzione del problema. Ed è proprio qui, che nasce il paradosso della vulnerabilità, perché “mentre le conoscenze, i servizi clinici e la disponibilità di diagnosi si sono fortemente ampliati, i risultati delle remissioni terapeutiche si dimostrano, invece, inefficaci”, come ci dice Gioele Cima, nel suo, L’epoca della vulnerabilità, pubblicato nel 2024.

Anna Grazia Stammati Esecutivo nazionale COBAS Scuola

pubbliredazionali