“Il governo sta cercando di trovare i fondi per assumere nella primavera del 2015 i 150.000 precari della scuola inseriti nelle graduatorie ad esaurimento: costo stimato 3 miliardi, probabilmente di più se si aggiungono le ricostruzioni di carriera al momento dell’ingresso in ruolo”. I luoghi della botte dove pensa di raschiare sarebbero, secondo Gavosto, “1 miliardo all’interno dello stesso bilancio dell’istruzione, risparmiando sulle supplenze, poiché a questo punto ci saranno più docenti di ruolo; bloccando il turnover di bidelli, tecnici e personale amministrativo della scuola; riducendo il finanziamento dell’università e degli enti di ricerca; infine, cambiando la composizione della commissione per l’esame di Stato che tornerà a prevedere soltanto membri interni, tranne il presidente”.
Le misure più discutibili, secondo il direttore della Fondazione, sarebbero le ultime due: i tagli alle università e gli esami di stato, mentre occorre chiedersi “se non rinnovare i contratti a tantissimi promettenti giovani ricercatori universitari, costringendoli a cercare fortuna all’estero, per assumere, senza un controllo di qualità, tutti i supplenti delle graduatorie – compresi i mille specializzati in steno-dattilografia! – sia una scelta davvero lungimirante per il futuro del paese”.
Ma in modo particolare, scrive Gavosto, “ Cambiare l’esame di maturità nella direzione voluta dal ministro Giannini, sostituendo le attuali commissioni miste con membri esclusivamente interni, è sbagliato”.
È vero che pagare le missioni ai prof “costa ogni anno al ministero alcune decine di milioni di euro, ma a fronte di un risparmio non enorme, si rischia però di rendere ancora più inutile l’esame di Stato di quanto già non sia”.
Per Gavosto “il vero punto debole della maturità è l’assenza di un metro di giudizio comune e studenti della stessa abilità possono ottenere risultati molto diversi, a seconda della severità della commissione, dell’indirizzo di studio o del territorio di appartenenza”.
“Ovviamente, se il giudizio finale spetta agli stessi insegnanti che hanno seguito lo studente durante l’anno, le differenze fra scuola e scuola e fra classe e classe saranno ancora più accentuate; i voti saranno tendenzialmente più alti, perché difficilmente un consiglio di classe vorrà «sminuire » il proprio operato. La scelta italiana va controcorrente rispetto alle migliori pratiche internazionali, dove prevalgono prove standardizzate e esami centrali, ovvero corretti secondo criteri omogenei a livello nazionale. Anche da noi sarebbe sufficiente che i compiti fossero inviati a una commissione unica centrale o scambiati fra le scuole di regioni diverse, per assicurare una maggiore confrontabilità e attendibilità dei risultati, con un minimo costo aggiuntivo”.
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