La scrittrice e docente Viola Ardone ha scritto un articolo, pubblicato su La Repubblica, in occasione dell’inizio dell’anno scolastico. La Ardone ha parlato della sua esperienza a scuola prima da alunna e poi da insegnante, facendo delle distinzioni.
“A scuola sono stata quasi sempre felice”
“La scuola è il primo posto in cui mi sono sentita a mio agio, è per questo che ci sono rimasta. Chiesi a mia madre di frequentare la primina, fui accontentata e feci il mio ingresso in anticipo nel mondo della scuola. Fu come trovare il mio posto nel mondo, avevo un banco, una sedia, dei precisi compiti da svolgere e, lavorando diligentemente con quaderni, penne e matite, potevo ottenere le lodi della maestra e l’approvazione della classe. Da bambina invisibile mi ero trasformata in ‘studentessa’. In classe potevo parlare di cose che conoscevo perché le avevo studiate e dunque non mi sembrava più di non avere nulla da dire”, ha raccontato Ardone.
“A scuola sono stata quasi sempre felice. Ho imparato a camuffare la mia timidezza e mi sono sentita legittimata a stare in una comunità. Non avevo bisogno di chiedere il permesso per entrare in un gruppo, di essere simpatica o graziosa come apparivano le altre bambine ai miei occhi. Facevo parte della classe per diritto, come gli altri. Questo dovrebbe fare la scuola: dare un posto a ciascuno. Un posto bello, comodo, che metta in circolo i pensieri e che faccia scoprire ai ragazzi qualcosa di sé”, ha aggiunto.
Ed ecco una riflessione sulla professione docente: “A volte penso che la scuola mi abbia dato più di quanto io sia stata in grado di restituire. So però che mi interrogo ogni giorno: che cosa significa essere una brava docente L’insegnamento è un mestiere artigianale che si costruisce nella pratica, un lavoro di sartoria che va adattato di volta in volta alle misure dei giovani ‘clienti’ che di anno in anno ci arrivano. Per questo tutti i tentativi di valutare, quantificare, monetizzare la bravura di un insegnante si sono sistematicamente arenati. Così come le riforme che, a prescindere dai governi, non vanno mai all’origine dei problemi della scuola, che sono sostanzialmente due: edilizia scolastica e numero degli alunni. Per entrambe le cose servono soldi, eppure è così che dovrebbero essere investiti, piuttosto che nella iper digitalizzazione dell’insegnamento, su cui molti Paesi europei stanno facendo già marcia indietro. Quindici alunni per classe varrebbero più di ogni riforma, non ci sarebbe bisogno di super professori, orientatori, tutor. Basterebbe mettere ogni docente in grado di fare il suo lavoro. È vero, non siamo tutti uguali: ce ne sono di bravi, di eccellenti e di pessimi. C’è quello che ti cambia la vita e quello che si imbosca smanettando al telefonino”.
Perché è inutile parlare di merito
Ecco secondo Viola Ardone cosa dovrebbero fare i docenti: “Esistono tanti modi per essere insegnanti e altrettanti per essere alunni. Non so se mi sarebbe piaciuto avermi come studentessa. Troppo zelante, troppo bisognosa di approvazione. È facile essere una buona insegnante con i bravi, io però ho un debole per i ‘cattivi’. Tutti i bravi studenti si somigliano ma ogni cattivo studente è speciale a modo suo. Ecco perché le chiacchiere sul merito, sul bullismo, sulla maleducazione e la svogliatezza mi annoiano. Perché la scuola deve essere fatta anche per loro, quelli dell’ultimo banco, non per metterli alla porta o per ridurli all’obbedienza con punizioni esemplari, ma per far trovare loro un posto nella classe, dunque nel mondo”.
“Questa è la scuola: la somma delle storie delle persone che la fanno. E dunque la storia di tutti, perché tutti siamo stati alunni. La scuola la fanno i docenti e gli studenti e le famiglie degli studenti. È il nostro mondo, la nostra comunità, in cui ciascuno vale tutti, il successo di ognuno è il successo di tutti. Noi insegnanti non abbiamo il potere di salvarli, né da se stessi né dagli altri, ci basta accompagnarli, nel breve tempo che la gioventù ci concede, per cercare insieme a loro un posto nel mondo”, ha concluso la scrittrice.