La Scuola italiana è realmente in crisi: fortemente erosa dall’interno, senza difensiva, poi, perché inerme agli attacchi esterni. Un clima di delazione, per tanti che la frequentano, non fa che disattendere il senso della coesione: lo sa bene un docente prima di varcare la soglia d’ingresso ogni mattina, dribblando tra un collaboratore ed un collega, prima di salutare i propri studenti.
Come se non bastasse, la spada di Damocle, ovvero la valutazione, non fa che isolare l’insegnante, laddove dovesse esprimersi negativamente sul conto di uno studente: lo sguardo del Consiglio di Classe, spesso, punta ai numeri da mantenere a Scuola, perché non venga sottodimensionata, a danno di non poche classi di concorso, dietro cui incalza il pericolo dei perdenti posto. Se a ciò si va aggiungendo l’ingerenza familiare, o un colloquio con un DS non illuminato, il menù finale è servito: fallimento ed insuccesso pesano su chi si permette di vederci chiaro, mentre mille occhi di Argo hanno sguardo di Medusa. Vespai di polemiche che spesso finiscono in aula di tribunale: apprendimento sbarrato o da sbarre, fate voi, booh!
Oggi, la Scuola si sta prestando a finzione didattica: c’è chi finge di avere adeguate consegne da parte degli alunni, c’è chi simula di avere appreso con tutti i santi crismi. E finsero felici e contenti, da antifiaba, però! E non è così, invece: basta una lettura sincera di una società pronta a poco per qualificare i dati in uscita. C’è un analfabetismo di ritorno spaventoso da mettere in discussione il teatro dell’assurdo che investe, ahimè, la nostra formazione. Ritengo che sia prioritario ripartire dalla riorganizzazione della nostra cultura per promuovere il futuro responsabile del nostro Paese: tanta leggerezza legalizza lo stesso atteggiamento in tutti i settori occupazionali.
Dall’immaginazione letteraria di uno Stato che è stato non possiamo tirar fuori un’immagine desolante di un presente impantanato senza senso ed orientamento.
Francesco Polopoli
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