Dopo l’articolo riguardante le affermazioni di un consigliere friulano sui docenti del Sud, pubblichiamo le lettera di un lettore, Antonio Giulio Cosentino, che risponde alle esternazioni poco felici del politico.
“A partire dall’anno 2000 è stata avviata, con cadenza triennale, un’indagine internazionale promossa dall’Ocse nota con l’acronimo PISA (Programme for International Student Assessment) finalizzata a fotografare lo status quo dei sistemi scolatici.
In particolare, tramite criteri metodologici di tipo statistico, è stato possibile raccogliere informazioni circa le conoscenze e le competenze di studenti dell’età di quindici anni. Considerando l’istruzione scolastica un diritto umano fondamentale, andava verificata l’effettiva uguaglianza nella sua fruizione da parte di tutti i ceti sociali.
Era necessario capire se, nonostante le strategie scolastiche egualitarie, i livelli di eccellenza potevano essere preservati. Per mezzo di questa indagine è stato possibile iniziare a raccogliere informazioni comparate a livello mondiale rispetto a questi obiettivi. L’indagine si propone infatti di misurare i livelli di apprendimento scolastico e l’efficacia dei sistemi scolastici oltre che di comparare le diverse strategie messe in atto per migliorare il livello d’istruzione della popolazione al fine di fornire prove empiriche sulla diminuzione delle discriminazioni sociali rispetto all’istruzione.
I test PISA, inoculati a studenti dell’età di 15 anni, e che quindi nella maggior parte dei casi sta ottemperando all’obbligo scolastico dopo nove anni di scuola, ha interessato via via un numero crescente di paesi (43 nell’anno 2000, 57 nel 2006, 61 nel 2009, 66 nel 2012, 72 nel 2015). Tali test abbracciano attualmente quattro distinti ambiti di verifica: la comprensione nella lettura (alfabetizzazione letteraria), l’abilità matematica (alfabetizzazione matematica), le conoscenze scientifiche (alfabetizzazione scientifica), la soluzione dei problemi (problem solving). L’indagine PISA, vista la sua estensione, dovrebbe fornire indicazioni attendibili sulla “funzionalità” dell’approccio pedagogico e gestionale dei sistemi scolastici in merito al conseguimento di livelli di uguaglianza, efficienza ed eccellenza comparabili a quelli di altri sistemi. Permetterebbe pertanto, dopo un’attenta interrogazione sulla propria politica di gestione e insegnamento, di correggere eventualmente la politica scolastica, qualora la stessa risultasse poco idonea. Sebbene ciò possa sembrare una buona idea, conduce inevitabilmente a stilare delle classifiche tra i diversi sistemi con la tendenza di imitare sistemi in uso in altri paesi.
Questi dati comparano sistemi scolastici profondamente diversi tra loro e influenzati da contesti sociali e condizioni economiche ancora più differenziati, ragion per cui andrebbero trattati con una certa cautela qualora si volesse dare loro un significato più ampio di quel che essi esprimono; ovvero qualora si tenti di considerarli qualcosa di più che una misura dell’apprendimento scolastico per ambiti di un sapere predefinito.
E’ importante sottolineare questo aspetto proprio perché di recente, sulla rivista “Intelligenze”, Richard Lynn, docente emerito di psicologia all’università dell’Ulster a Coleraine (Irlanda del Nord), ha pubblicato un articolo dal titolo “In Italia, le differenze nel Quoziente intellettivo fra Nord e Sud spiegano le differenze nel reddito, nel livello d’istruzione, nella mortalità infantile e nell’analfabetismo” basandosi proprio sui diversi risultati conseguiti da Nord e Sud Italia nei test PISA . Lynn, non nuovo ad argomentazioni del tutto discutibili circa le differenze nell’intelligenza (vedi La curva a campana, 1994; R. Lynn & T. Vanhanen, Quozienti di intelligenza e ricchezza delle nazioni, 2002; R. Lynn & T. Vanhanen, Quoziente di intelligenza e disuguaglianza globale, 2006; R. Lynn, Differenze razziali nell’intelligenza: un’analisi evoluzionista, 2006), ha sostenuto che le differenze nell’apprendimento scolastico fra le due “fazioni” italiche sarebbero da attribuire ad una differenza di intelligenza (QI): i meridionali sono geneticamente meno intelligenti dei settentrionali. Mentre il QI degli abitanti del nord è paragonabile a quello degli altri paesi dell’Europa centro-settentrionale, scendendo al sud tale parametro si abbassa (il primato d’intelligenza lo deterrebbe il Friuli e in posizione diametralmente opposta i siculi).
Nello studio pubblicato da Intelligence, afferma che «il grosso della differenza nello sviluppo economico tra nord e sud può essere spiegato con la variabilità del QI» e che, in sintesi, nel sud Italia la qualità del cibo è più scadente, si studia meno, ci si prende meno cura dei figli e che almeno dal 1400 il Meridione non partorisce «figure di spicco» nelle arti e nella politica. Negli anni ’70 lo stesso Lynn sostenne che gli abitanti dell’Estremo Oriente fossero più intelligenti dei bianchi e nel 1994 nel libro «La curva a campana» teorizzò che nella popolazione di colore, una pigmentazione più chiara corrisponde a un quoziente intellettivo più alto, derivato proprio dal mix con i geni caucasici. Per questo motivo il sud del paese italiano risulterebbe meno sviluppato del nord. Ciò viene argomentato come dovuto al fatto che i meridionali si mescolarono (geneticamente) con i popoli del Medio Oriente (fenici, greci, arabi) e del nord Africa, a loro volta meno intelligenti dei “germani”, più affini geneticamente ai settentrionali. La tesi di Lynn sembrerebbe rievocare, come evidenziato da Vittorio Daniele (StrumentiRes, Rivista online della Fondazione Res, Anno II, n° 3, aprile 2010) nell’articolo “Lynn, Lombroso e l’intelligenza dei meridionali”, a distanza di oltre cent’anni, le tesi razziste di Lombroso e Niceforo (illustre criminologo di scuola lombrosiana) e degli altri lombrosiani che tentarono di spiegare le differenze economiche e sociali attraverso la razza. Si tratta di un razzismo di tipo scientifico che caratterizzava una certa scuola antropologica del tempo (tra ‘800 e ‘900), ispirata da Cesare Lombroso. Sono anni, quelli, in cui, come osservava Antonio Gramsci, tra le masse operaie del Nord si diffonde l’idea secondo la quale: «il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale». Così scriveva Cesare Lombroso nella sua opera principale, L’uomo delinquente, nel 1876: «È agli elementi africani ed orientali (meno i Greci), che l’Italia deve, fondamentalmente, la maggior frequenza di omicidii in Calabria, Sicilia e Sardegna, mentre la minima è dove predominarono stirpi nordiche (Lombardia)».
Così scriveva, invece, il siciliano Alfredo Niceforo nel 1898: «L’Italia è formata da due stirpi ben dissimili tra loro, anzi di caratteri fisici e psicologici del tutto diversi; una di queste stirpi popola il nord e il centro, l’altra il sud e le isole». Lo stesso Niceforo non vedeva di buon occhio chi era nato da Roma in giù. “La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il Mezzogiorno d’Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco – dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa e dell’Australia”. Come pubblicato sul Corriere della Sera del 16 febbraio 2010 «I meridionali sono meno intelligenti» Nuova teoria di Richard Lynn: «La causa è mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e dell’Africa», Roberto Cubelli, presidente dell’Associazione italiana di psicologia, ha criticato lo studio di Lynn per i «gravi limiti teorici, metodologici e psicometrici (inadeguatezza degli strumenti di misura, arbitrarietà della procedura di analisi, mancata definizione di intelligenza), attualmente in discussione presso la comunità scientifica».
Lo stesso Cubelli attacca inoltre lo studioso irlandese per l’uso di «modelli teorici che si sono già rivelati falsi e ingiustificati e che possono legittimare comportamenti individuali e scelte politiche di impronta razzista e di discriminazione sociale». Particolarmente significative risultano le repliche all’articolo di Lynn effettuate da Emanuele Felice dell’Università Autonoma di Barcellona, dapprima nel giornale Repubblica del 17 gennaio 2010 (commento di Emanuele Felice accanto ad altri – Guido Tabellini e Brian A’Hearn) e successivamente in un suo articolo intitolato: “Sull’importanza della storia per le scienze sociali (e viceversa) – Tre esempi dai divari regionali in Italia – I numeri senza la storia: il neo-razzismo applicato all’Italia”, fa notare che ciò che più preoccupa è che una rivista del calibro di Intelligence pubblichi articoli così superficiali da un punto di vista storico. Prescindendo dalle motivazioni tramite le quali “smonta” la teoria di Lynn, per le quali si rimanda alla lettura della pubblicazione, la cosa che maggiormente occorre evidenziare è l’importante considerazione che l’autore fa. Egli scrive così: “In breve, io non credo che questi errori avvengano per caso, né che possiamo permetterci di sottovalutarli. L’articolo su Intelligence non è che la punta d’icerberg di un fenomeno più profondo, sulle cui ragioni dovremmo interrogarci. Fra queste vi sono probabilmente la scarsa conoscenza della storia e della stessa realtà sociale (e umana) che pure di vorrebbero spiegare (…) Chi ha avuto modo di parlare di persona con Lynn, come Ferdinando Giugliano con cui ho pubblicato la risposta su Intelligence, ha avuto l’impressione che tutto sommato il professore emerito fosse in buona fede. Chissà, forse anche gli scienziati nazisti lo erano. Del resto, chi non conosce la realtà sociale e la storia, oppure ne ha solo una visione superficiale e distorta, può non accorgersi nemmeno di manipolarle. Il rischio è che siano in molti a credergli”.
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