I distanziamenti sociali hanno imposto regole collettive alle quali dobbiamo necessariamente uniformarci.
La scuola si avvia a intraprendere un percorso di convivenza interpersonale dove le misure appaiono percorsi obbligati da elaborare e poi mettere in pratica. Il cambiamento impone a tutti di limitare o controllare comunque atteggiamenti di spontaneità e vicinanza fisica che spesso, oltre la comunicazione verbale, veicolano sentimenti di empatia, condivisione, sostegno.
La parola non basta a riempire tanti spazi, ci sono alunni che hanno bisogno di andare oltre gli schemi rigidi della comunicazione educativa per sentirsi accolti e in qualche modo protetti.
Dubito che, nelle condizioni già previste per il rientro a scuola, si possa vivere una normalità dettata dalle piccole cose, i gesti e il linguaggio che la metacomunicazione considera un territorio privilegiato per una didattica nella quale le emozioni riescono spesso ad innescare un processo di insegnamento-apprendimento efficace e sempre in divenire.
Mi chiedo come sia possibile, anche negli spazi aperti, innalzare barriere e divisioni varie per evitare contatti e creare così una bolla d’aria garantita dal timore del contagio. La misura delle distanze diventera’ forse il metro di giudizio, di paragone, rispetto al quale idee, sentimenti, opinioni personali dovranno assoggettarsi per costruire una anomala e limitata normalità? Il futuro prossimo trascina con se’ il malessere di un periodo senza certezze nel quale abbiamo vissuto isolamento e limitazioni, solitudine, impotenza e rinunce.
In questo contesto la didattica a distanza è stata una scelta obbligata ma carente di autenticità e spontaneità, quella dose di energia e vitalità che la relazione educativa, in quanto tale, può infondere rispettando solo il limite di una buona e necessaria vicinanza.
Laura Alberico