Il progetto La scuola che verrà, elaborato da un team di esperti, costituito da Anna Maria Di Falco, Salvo Impellizzeri, Giovanni Morello, Fiorenza Rizzo, ha come obiettivo quello di affrontare alcuni aspetti nodali della scuola riguardanti la valutazione delle prestazioni degli alunni con la didattica a distanza, ma soprattutto focalizzare l’attenzione sull’organizzazione della scuola, dell’attività didattica, del personale docente e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario nel prossimo anno scolastico 2020/2021, presentando alcune proposte operative.
Il progetto continua a riscuotere interesse e contribuisce a sollecitare interventi e apporti provenienti dal mondo della scuola e a tenere desto un dibattito caldo che tocca da vicino milioni di persone che direttamente o indirettamente sono coinvolti nel problema che dovrà essere affrontato dall’inizio del prossimo mese di settembre.
Dopo la pubblicazione dei primi due approfondimenti, uno sulla dispersione scolastica, cura di Anna Maria Di Falco, l’altro sul PCTO, a cura di Fiorenza Rizzo, oggi pubblichiamo il contributo di Giovanni Morello, su come riprogettare e valutare l’ambiente di apprendimento.
Chi vive direttamente la scuola non vede l’ora di ritrovarla come luogo di incontro anche fisico, in cui la persona, insegnante o allievo che sia, possa comunicare sé stessa con tutta la ricchezza della propria espressività corporea, prossemica, visiva. Quel mondo indefinito di comunicazione implicita che si esercita anche nel movimento quasi impercettibile di un angolo della bocca o di un sopracciglio e che dice tanto e che tanto costruisce (o distrugge).
La relazione educativa ha insomma un estremo bisogno di contatto umano e la riprova è consegnata nei resoconti “diaristici” (mai come in questi giorni sarebbe utile proporre la scrittura di diari agli studenti) di tanti alunni, che affermano di stare vivendo con ansia o persino con qualche tratto di depressione, il distanziamento sociale, per la mancanza pesantemente avvertita dei loro compagni (magari non di tutti) ma anche degli insegnanti (magari non di tutti).
Questo dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, quanto i futurologi affermano da tempo: l’insegnante, soprattutto l’insegnante che forma ed educa (e non solo istruisce), come “colui che lascia un segno”, è fra le figure meno sostituibili da un computer, proprio per la complessità del suo ruolo e per l’impatto che può determinare nella traiettoria di vita dei suoi studenti. Ma ribadisce anche che la scuola, oltre che un grande laboratorio di apprendimento, è anche un grande e insostituibile universo di socializzazione.
Eppure, sarebbe un errore buttare, per così dire, il bambino con l’acqua sporca, e pensare alla DAD come ad un brutto ricordo da rimuovere prima possibile, una sorta di giogo innaturale sotto cui si è stati costretti a passare in mancanza di altre possibilità. La scuola del futuro potrebbe essere infatti una scuola in presenza, ma che sfrutta in modo mirato, complementare, progettato, intelligente, la didattica a distanza, soprattutto a vantaggio degli allievi più in difficoltà.
La registrazione che segue prova a dare qualche indicazione sul perché e in che direzione ciò sarebbe auspicabile.
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