“Alla fine dei cinque anni, sei in grado ora di dire se la scuola serve, se ti è servita per la tua vita?”.
Domanda non facile, forse un po’ cattiva, alla fine dell’orale dell’esame di maturità.
Domanda non facile, ma ancor di più la risposta. Perché, per i ragazzi di oggi, manca quella distanza, quel distacco che solo con gli anni porterà ad una riflessione meno precipitosa. Per cui, giusto non insistere.
È notorio, come un ritornello, che i ragazzi imparano per dimenticare. Sapendo che le materie non sono altro che finestre sul mondo. Il quale chiede e pretende, più che le nozioni, necessarie ma non sufficienti, la capacità di orientarsi, di scandire, attraverso approcci e ripensamenti, un proprio sentiero di esplorazione di un universo, di un orizzonte, che mai si lascia ridurre al presente, agli eventi che lo compongono, alle storie che lo riempiono.
Che serve, dunque, la scuola? Ad esercitarsi a pensare, sperimentando che pensare è anzitutto obiettare, domandare ragione. L’humus della cultura.
Chi vive sospeso solo nella illusione del presente, ascolta e crede, subisce le parole e le immagini, si limita a ripetere slogan senza batter ciglio, slogan accolti come dogmi.
Il pensiero pensante invece naturalmente non si ferma alle parole, ma chiede, interroga, pretende. Domanda cioè verità.
Così scopre che, domandando, deve mostrare e dimostrare che deve sapere cosa domanda, dunque deve sapere. Senza accontentarsi mai. Perché la verità passa attraverso le cose, parole, idee, immagini, eventi, e chiede sempre oltre. Cioè non si accontenta.
Ecco il senso del pensare che si fa cultura. Ecco il valore di un docente-maestro, che i ragazzi raramente incontrano, a scuola come nella vita. Raramente, perché sono delle eccezioni i docenti-maestri, che nessun algoritmo e nessuna graduatoria e nessun concorso standard potranno mai individuare o assegnare. Quelli capaci di testimoniare ogni giorno, al di lá di materie e contratti, il cuore dell’atto scolastico.
Pensare dunque come dubitare, obiettare, domandare.
Perché capace di promuovere, anzitutto in se stessi, il dialogo interiore, quindi con gli altri, un dialogo che richiede, perciò, l’uscita da se stessi, per cercare di rispondere alle obiezioni sempre nuove, quelle che si convertono in sempre nuove domande.
Questa la persuasione fondamentale che ad un certo punto, come scintilla, brilla di luce propria: non contano le opinioni, ma la verità. E questa è criterio di se stessa. Nel senso che richiede di essere cercata al di lá e oltre il modo di essere e di cercare di chi la cerca.
Così, mentre tutti sono appassionatamente abbarbicati alle proprie indiscusse certezze soggettive, pronti a farsi la guerra, sullo sfondo si fa strada, da sola, la domanda di verità. In noi nonostante noi.
Auguro a tutti i ragazzi di avere incontrato nella loro vita scolastica questo sentiero di verità, vero senso dell’essere e del far scuola.
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