Nel dibattito sul nostro sistema scolastico ritorna spesso la contrapposizione fra la scuola dell’autonomia e la scuola pre-autonomia assimilata tout-court alla scuola della collegialità in cui la didattica prevaleva sui “progetti” e sulle “competenze”.
Ma ha davvero senso questa contrapposizione?
La scuola pre-autonomia, la scuola degli organi collegiali, è stata davvero una età dell’oro?
Difficile dare una risposta, se si trascura il fatto che fra i due “modelli” intercorrono alcuni decenni di storia, decenni in cui non solo la scuola ma l’intera società italiana si è profondamente trasformata.
Ripercorrere alcune tappe del percorso che portò alla nascita della scuola degli organi collegiali può però essere interessante e forse persino istruttivo anche perché si scoprirà un paradosso: la riforma entrata in vigore quasi 50 anni fa non riscosse il consenso generale come si potrebbe pensare.
Che le norme che regolavano il funzionamento della scuola e lo stato giuridico del personale fossero inadeguate rispetto ai cambiamenti in atto fu chiaro a tutte le forze politiche fin dal fine degli anni ’60.
Il “vento” del ’68 ma ancor più gli avvenimenti dei due-tre anni successivi convinsero il Governo a mettere mano a una riforma di sistema che potesse dare risposta alle richieste di partecipazione e di innovazione in campo scolastico.
Un primo disegno di legge venne presentato, senza esito positivo, già nella quinta legislatura conclusasi nel febbraio del 1972.
I lavori ripresero subito dopo l’insediamento del nuovo Governo che, per accelerare i tempi di approvazione del provvedimento, decise di percorrere la strada della legge delega.
In prima battuta il disegno di legge prevedeva appunto il conferimento di una delega al Governo per l’adozione di norme sullo stato giuridico del personale e sulla istituzione degli organi collegiali della scuola.
Il percorso parlamentare fu però molto complicato.
Le battute decisive si giocarono esattamente all’inizio della primavera del 1973, esattamente 50 anni fa quando in Senato si discusse (e si modificò) il testo originario.
Nel timore di “fughe in avanti” il Governo intervenne su diversi aspetti del testo tanto che alla fine, in Senato, venne eliminata del tutto la delega per l’istituzione degli organi collegiali con l’idea di affidare questa riforma ad una legge ordinaria.
Al Senato il dibattito fu molto vivace con prese di posizione del tutto inaspettate: i meno giovani, per esempio, ricordano ancora un accorato intervento del senatore della sinistra indipendente Franco Antonicelli che auspicava l’elettività di presidi e direttori didattici.
Nettamente contrari all’impianto furono i parlamentari del partito comunista che lamentavano non tanto la cancellazione della delega sugli organi collegiali quanto piuttosto la carenza di risorse finanziarie per riconoscere ai docenti le nuove funzioni previste dallo stato giuridico.
Né va dimenticato che – sempre da sinistra – non mancarono le critiche alla formulazione adottata per definire la libertà di insegnamento.
Tanto che, proprio al Senato, il provvedimento venne approvato “per il rotto della cuffia”: 158 voti a favore contro 150 contrari.
Nel passaggio successivo alla Camera, però, il disegno di legge cambiò.
Ma questa è un’altra storia e ne riparleremo ancora.
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