Giuseppe Bertagna, già esperto consulente della ex ministra Mariastella Gelmini, sul Corriere della Sera interviene su un tema assai scottante, quello appunto dei conflitti che nella scuola scoppiano, mentre occorre coordinamento e collaborazione per un insegnamento proficuo a favore dei ragazzi
Questo il suo intervento
Aumentano i casi di dirigenti scolastici che chiedono il ritorno al ruolo di provenienza. Di solito sono di fresca nomina, vincitori di concorsi. Meglio insegnare che dirigere? In realtà, aumentano anche i casi di docenti in burn out: troppi conflitti tra colleghi, con gli studenti o con i genitori. C’è ormai una letteratura sul tema. Poi ci sono le patologie da codice penale. Come le aggressioni fisiche o gli insulti diffamatori di cui riferisce anche il giornale. Come è capitato. E, purtroppo, capiterà. Non è bene mettere la sordina a questi fenomeni. Meglio adoperarli come occasione per portare nel pubblico confronto alcuni esami di coscienza.
Nella scuola servono docenti e dirigenti che non solo sappiano ciò che devono insegnare o fare, ma anche e soprattutto che abbiano le competenze caratteriali, etiche e relazionali per non subire i conflitti, ma governarli e trasformarli da avversità in opportunità di crescita per tutti. Che cosa si è fatto, che cosa si fa e si farà al riguardo? Purtroppo nulla.
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Essa non può basarsi sulle carte e sugli acronimi, dal Pof al Ptof, dal Rav ai Pei ai Psp e ai tanti altri ben noti agli addetti ai lavori. Deve fondarsi, al contrario, sulla qualità delle relazioni interpersonali. E siccome non esiste relazione interpersonale senza libertà di agire e responsabilità di pagare le conseguenze delle proprie azioni, le scuole dovrebbero essere quotidianamente una palestra per l’esercizio sempre più ampio di queste libertà e responsabilità. A qualsiasi livello: culturale, istituzionale, organizzativo e didattico. L’ideale sarebbero quindi famiglie e studenti che potessero «eleggere» la scuola, i docenti, i dirigenti, i compagni, le discipline da privilegiare e quant’altro si possa immaginare; e i docenti e i dirigenti potessero a loro volta «scegliere» i colleghi con cui lavorare, le famiglie con cui cooperare, gli studenti a cui insegnare, i piani di studio da sviluppare e così via. E che tutti dovessero sempre rispondere agli altri e alle istituzioni regolatorie (in primis lo Stato) delle scelte compiute.
Un tempo si diceva che non si doveva almeno superare quello per cui non bisogna «fare all’altro ciò che non si vuole sia fatto a se stessi». Il fatto è che oggi si è giunti ad amare così poco se stessi da trasferire questo disamore anche sugli altri.
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