I lettori ci scrivono

La scuola dell’astrazione o della realtà? Una questione aperta

In questo periodo sono numerose le accuse alla scuola di essere lontana dalla “realtà”, in tutte le sue multiformi sfumature. Per la verità potremmo dire: “nulla di nuovo sotto il sole!” Parte dei suoi problemi, relativi alla scarsa motivazione all’apprendimento che aleggia fra gli studenti, derivano dal suo essere lontana dalla realtà.

Lo dicono persino i mie studenti: “Prof., ci insegnano tante cose, molte nozioni, ma non siamo nemmeno in grado di capire come poter aprire un muto. Come faremo!”. File di pedagogisti si impegnano a mostrarci il valore di una scuola che proponga dei compiti di realtà. Anche un insegnamento per competenze viene invocato per mostrare quanto le conoscenze debbano trasformarsi per aderire alla realtà che si staglia davanti a noi come una sorta di totem. Persino il Ministro Giuseppe Valditara è intervenuto per ricordare che la matematica dovrebbe essere meno astratta e più vicina alla realtà, pena: demotivazione e abbandoni. Nulla da eccepire.

Mi permetto solo, a questo proposito, di ricordare che il problema, in parte, è stato già affrontato, a suo tempo, da Aristotele nel lontano IV secolo a.c. in uno dei quattordici libri che compongono la Metafisica. In questo testo l’autore ci racconta che le scienze procedono per “astrazione”, (dal verbo latino abstràhere, letteralmente “trarre da”) cioè “spogliando” i loro oggetti di studio da tutti quei caratteri che non risultino importanti ai fini delle loro indagini.

Ad esempio il matematico spoglia le cose dalle qualità, che non sono riducibili alla pura quantità, il fisico spoglia le cose da tutti quegli elementi che non sono riconducibili al movimento ecc. Galileo Galilei opererà allo stesso modo quando parlerà di esperimenti, spesso mentali, da cui togliere gli impedimenti specifici, astraendo, come lui sosteneva, dagli “impedimenti della materia” e così farà tutta la ricerca scientifica contemporanea che isola elementi non importanti per i fini propri.

Ciò porta a considerare l’astrazione come uno dei fondamenti e dei presupposti di ogni ricerca scientifica, non l’unico ovviamente. Tornando a quella che è la dimensione scolastica, potremmo dire che le discipline insegnate dai docenti hanno, nell’elemento dell’astrazione, uno dei cardini del percorso di apprendimento, perlomeno se si vuole parlare di scienza.

Estremizzando, in termini pedagogici, potremmo dire che è proprio la capacità di astrarre, di isolare elementi della realtà, che ci permette anche di riuscire ad aprire forse un mutuo, di progettare il nostro futuro, di vedere in una casa la possibilità di immaginare delle modifiche e design che la rendano più fruibile e gradevole, di guardare al reale per modificarlo. Per questo dobbiamo imparare ad astrarre. Così abbiamo evitato, come umanità, di piegarci alla realtà e siamo riusciti nel tempo a “piegare” la realtà a noi, forse con qualche degenerazione, ma questa è un’altra questione.

Se la scuola non insegna ad astrarre come possiamo avere creatività e progettualità? Io non penso che sia la troppa astrazione a rendere la scuola demotivante, bensì il come si presenta l’astrazione, questione ben diversa. Si badi bene che questo non significa mancare di fare i conti con la realtà, anzi; si tratta tuttavia di guardare la realtà nella sua articolata dimensione. Il futuro della società si gioca anche su questi elementi.

Un grazie alla studentessa D.I. per avermi esposto le sue preoccupazioni sull’apertura di un mutuo.

Marco Navarri

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