Cara Tecnica,
con il primo Collegio Docenti di Settembre si apre un nuovo anno scolastico, momento nel quale è consuetudine, per ogni docente, fare un po’ un check up del proprio operare didattico: si fa mente locale sugli studenti che si ritroveranno “per continuità” e su quelli i cui volti dovremo imparare a riconoscere, si valuta il materiale didattico (manuali nuovi?) per cominciare ad orientarsi sulla programmazione, ecc..
Tuttavia confesso che mai come quest’anno (dopo oltre 35 anni di servizio!) avverto una spiacevole condizione di disorientamento, mi riferisco, a quanto sinteticamente scritto da Pasquale Almirante nel suo articolo “Dalla scuola si pretendono tutte le educazioni…” del 28/8/23.
Da molto tempo, ormai, come tanti osservano, la scuola è il “ventre molle” entro il quale si scaricano le tensioni e le inadeguatezze educative della società, ma tra il 2022 e il 2023 il fenomeno è cresciuto a dismisura, anche a causa della risonanza di alcuni fatti di cronaca (dalle aggressioni ai docenti, ai tragici ultimissimi casi di violenze di gruppo). Naturalmente si alza subito il coro: “la scuola dovrebbe/dovrà, ecc..”.
Ben vengano i nobili proclami e le dichiarazioni di intenti, ma poi, SUL CONCRETO, qual è il compito del docente, soprattutto nella struttura alquanto rigida della scuola superiore italiana (ad esempio effettuare lezioni in compresenza risulta assai complesso)?
Prendo un esempio concreto, il più urgente, tanto per capirci: educazione all’affettività e parità di genere, tema decisamente urgente… “Bisogna parlarne a scuola” – bene – ma CHI ne deve parlare e COME? Si interpella un’Agenzia esterna, nell’ambito dell’Educazione alla salute? Si tratta spesso di iniziative “a fondo perduto”, in quanto episodiche e anche perché i ragazzi a volte ascoltano distrattamente…
Deve essere il singolo docente a prendere l’iniziativa? Ora, io ho conseguito una Laurea in Lettere Moderne, ormai un bel po’ di anni fa, pertanto la mia formazione e preparazione riguarda un settore specifico, e questo è ancor più evidente per i docenti di discipline tecniche e scientifiche; è pur vero che i cosiddetti “Studia Humanitatis” avrebbero fama di “costruire” la personalità degli studenti, di offrire loro chiavi di lettura per comprendere sé stessi e la realtà in cui sono inseriti, ma tale preziosa funzione si estrinseca appunto “attraversando” i testi letterari, filosofici, le fonti storiche (cioè LEGGENDOLI e magari cercando di capirli, in quanto “nani sulle spalle di giganti”!), non si tratta semplicemente di “aprire il dibattito”, con il rischio di dare accesso alle banalità, al chiacchiericcio inconcludente, come avviene normalmente quando ci si spaccia per “tuttologi” (che sembra essere lo sport nazionale).
In definitiva: se alla società odierna servono “altre cose” (ed è legittimo!), rispetto alla cultura (quella cultura che – si badi bene! – non è sterile nozionismo!), se ormai contano di più le “soft skills” rispetto a Sallustio e a Leopardi, io sono decisamente demodé, inadeguata e francamente incompetente, come molto spesso sono fatiscenti ed inadeguate le strutture scolastiche in cui favorire il fiorire di tali competenze, più ricercate nella compagine attuale, ma allora sarebbe onesto, da parte dei vari “maitre a penser” ministeriali, dirlo esplicitamente e prenderne atto, attuando una profonda rivisitazione delle cosiddette “linee guida” ministeriali e ripensando in toto il sistema di reclutamento dei docenti, dopo che i poveri vecchietti sul “viale del tramonto” come me avranno imboccato anche il “viale della pensione”…
Monica Quetore