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La scuola deve preparare al lavoro o alla vita? Secondo Six Seconds, lo sviluppo dell’Intelligenza emotiva è la risposta

Proprio in questi giorni, durante un’intervista a Mattino 5 News, il ministro Valditara ha ribadito che ‘sarebbe un delitto non pensare a una scuola che metta in collegamento formazione e impresa.’

A questa visione di scuola legata a filo doppio, quasi propedeutica al mondo dell’impresa, se ne contrappone un’altra di segno totalmente opposto che vede la scuola come comunità che educa alla vita. Una scuola percepita come l’arma più potente per cambiare il mondo, perché crea donne e uomini consapevoli, cittadini che parteciperanno a pieno titolo alla vita sociale, politica e culturale del proprio paese, collaborando al bene comune.

Tuttavia, se riflettiamo, queste due visioni della scuola, lungi dal contrapporsi come ideologiche, sono le due facce di un’unica medaglia. Vita e lavoro sono inscindibili, una stessa persona, sia al lavoro che nella sua vita privata,  può essere un cittadino consapevole, responsabile e soddisfatto.

Ne ha parlato in questi giorni, sul magazine online ‘Dire, Fare, Insegnare’, Lorenzo Fariselli, direttore responsabile di Six Seconds Italia ed Europa, un’organizzazione presente in tutto il mondo che ha lo scopo di supportare l’implementazione efficace dell’intelligenza emotiva in ambito aziendale, nel sistema educativo e in famiglia.

Fariselli, psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, si inserisce nel dibattito tra chi sostiene che la scuola debba preparare al lavoro e chi crede che il suo compito sia quello di preparare alla vita non considerando l’aspetto professionale.

Citando il Report State of the Global Workplace, Gallup 2024, Fariselli afferma che oggi i dati relativi alla salute mentale dei lavoratori sono preoccupanti e i livelli di stress e burnout senza precedenti. In Italia solo il 5% dei lavoratori si dichiara coinvolto nel proprio lavoro. Questo affaticamento psicofisico non scompare una volta lasciato il posto di lavoro e l’insoddisfazione e lo stress rendono affannato il ritmo delle nostre vite.

Può la scuola disinnescare questo processo? Sì, risponde Fariselli, a condizione che il “programma scolastico” non sia l’obiettivo primario, a scapito della comprensione profonda delle materie o della crescita personale di studenti e studentesse. La scuola non deve limitarsi a preparare a “fare bene” un compito senza considerare il significato di quel compito o il suo impatto sulla società e sulla persona. Questa impostazione del mondo scuola che non invita a coltivare una riflessione etica e una consapevolezza emotiva, rischia di formare futuri lavoratori che replicano questo approccio tecnico e disumanizzante, diventando ingranaggi di un sistema produttivo che privilegia l’efficienza a scapito dell’umanità.

Al contrario, la scuola deve preparare, sostiene Fariselli, alla nobiltà dal punto di vista morale, etico. Ha il compito di preparare a un futuro che nobiliti, che valorizzi l’individuo e contribuisca al benessere collettivo. È necessario un ripensamento radicale del rapporto tra educazione e futuro che si focalizzi sulla formazione integrale della persona attraverso l’Intelligenza Emotiva. Questa, riprendendo la definizione data dallo psicologo statunitense Goleman, è la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali.

Le aziende, dal canto loro – conclude Fariselli –  devono immediatamente rendersi conto del ruolo che giocano in questo sistema. È necessario creare ambienti che supportino veramente le persone, aiutandole a trovare un equilibrio tra vita professionale e personale, e che valorizzino le competenze emotive tanto quanto quelle tecniche. Il cambiamento deve partire dalla scuola, ma deve coinvolgere l’intera società.

Gabriele Ferrante

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