Martedì 23 gennaio Luigi Gallo, presidente della 7a Commissione Cultura della Camera dei deputati, e Manuel Tuzi, nella medesima commissione, hanno annunciato in una diretta Facebook alcuni progetti in corso, sostenendo che hanno intenzione di rivoluzionare il numero chiuso dei corsi di laurea universitari, compreso quello di scienze della formazione primaria.
Il discorso è più ampio e complesso, ma ci concentriamo sugli effetti del concorso straordinario per l’assunzione di decine di migliaia di insegnanti nella scuola dell’infanzia e primaria, del quale si è già molto discusso ma poco si è detto sugli effetti a lungo termine.
Come delineato dal decreto dignità, poi convertito con la Legge n. 96 del 9 agosto 2018, nell’articolo 4 sono espresse le nuove modalità di reclutamento per questi gradi scolastici. La metà dei posti destinati a concorso (l’altra metà rimane destinata alle GAE) è stata quindi suddivisa (al netto dei vincitori del concorso ordinario 2016) in 25% destinato alle graduatorie del concorso straordinario e 25% ai nuovi concorsi ordinari, rispetto al totale.
Che fine farà il corso di laurea in scienze della formazione primaria?
Questo corso ha un solo esclusivo sbocco professionale: insegnante della scuola dell’infanzia e primaria, tanto che la laurea è anche titolo abilitante alla professione. Per questo motivo l’accesso è a numero chiuso, stabilito annualmente a livello nazionale dal MIUR sulle previsioni del fabbisogno di
insegnanti. È inutile abilitare ad una sola professione migliaia di persone se poi non potranno trovare lavoro! Si verrebbe a creare un nuovo precariato del quale il comparto scuola è già saturo. Purtroppo questo nuovo precariato è già stato creato proprio a causa del decreto dignità: sono oltre 42000 (alle quali vanno aggiunti i ricorsi) le adesioni al concorso straordinario, che ricordiamo essere non selettivo.
Quindi tutti dentro! Questo numero è pari a 5 annualità di laureati in scienze della formazione primaria in tutta Italia! Come se negli ultimi 5 anni questo corso di laurea avesse sfornato solo precariato. Fai un test basato sul fabbisogno e poi mentre ti laurei quel fabbisogno viene dimezzato, inizi con l’idea
(teorica) che il tuo posto sia necessario e poi ti lasciano a casa dicendo “abbiamo scherzato, ce ne serve la metà” e ti ritrovi a concorrere non solo con lo storico precariato scolastico, ma tu o la tua compagna di corso (1 su 2) andrete ad allargare le file dei precari. La lungimiranza in Italia è qualcosa di
sconosciuto, l’importante è fare azioni politiche immediate per accaparrarsi i voti alle prossime elezioni, in barba a qualsiasi progetto a lungo termine.
Cercare di risolvere il precariato con modalità di reclutamento straordinarie e non selettive, togliendo posti a persone formate proprio sulla base di quei numeri, è semplicemente inutile; al più è un procrastinare il problema con l’aggravante di immettere anche personale non preparato, poiché è impossibile non essere idonei.
La politica vuole risolvere realmente il precariato, compreso quello nuovo? Allora è necessario assumere e aumentare i posti! Questo non solo risolverebbe il precariato, ma prima di tutto porterebbe qualità e centralità alla scuola. Tempo pieno, compresenza, potenziamento, concorsi ordinari biennali evitando le solite sanatorie… queste sono le riforme necessarie per una nuova scuola. Purtroppo richiedono fondi, ma in Italia l’istruzione è solo il settore a cui toglierli, tanto che è tra gli ultimi Paesi europei per investimento percentuale rispetto al PIL.
[La tanto acclamata “istruzione del nord Europa” investe il doppio di noi: con quelle percentuali d’investimento anche l’Italia, come ha già dimostrato, sarebbe un’eccellenza scolastica in tutto il territorio e non solo in poche isole felici.]
Come Coordinamento Nazionale di Scienze della Formazione Primaria Nuovo Ordinamento ci interroghiamo sul numero chiuso del nostro corso di laurea. È comodo tenerlo invariato, come se il decreto dignità non avesse già creato nuovo precariato, significa tante iscrizioni, e quindi entrate, ed evitare problemi mediatici. Anche perché dimezzarlo significherebbe chiudere degli interi corsi di laurea, significherebbe dire che “per insegnare non serve una laurea”, sebbene l’Europa la richieda da quasi 20 anni e l’Italia, in questo tempo, non è ancora riuscita a stabilizzare chi doveva essere stabilizzato.
Il problema certo non verrà fuori questo settembre, gli effetti di quel numero si avranno almeno tra 5 anni e aumentare o diminuire il numero chiuso non può essere la sola variabile da prendere in considerazione. La politica sarà capace di scegliere un numero e renderlo coerente con le politiche scolastiche dei prossimi 5 anni? Manterranno il numero sottolineando l’importanza di un’adeguata formazione e contemporaneamente attueranno politiche per aumentare i posti o ignoreranno il problema lasciandolo, ingrandito, ai posteri? Verranno ancora presi in giro i nuovi studenti che decideranno di iscriversi a scienze della formazione primaria millantando dei numeri calcolati sul fabbisogno, quando in realtà dovranno aspettare l’ennesima sanatoria per essere assunti? O faranno seguire i fatti alle parole di cui si sono riempiti la bocca in questi mesi: “puntiamo sui giovani”?
Chiediamo gentilmente al ministro per l’istruzione Marco Bussetti, all’on. Luigi Gallo e a tutti gli attori responsabili di queste politiche, risposte alle domande ma soprattutto scelte coerenti e lungimiranti.
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