Care colleghe e cari colleghi, il dibattito in corso in questi mesi relativo alla “buona scuola” ha creato una certa inquietudine tra i professionisti della Scuola. Il piano proposto dal Governo snocciola numeri tra assunzioni e organici; espone soluzioni organizzative geniali e risolutive; schizza con tratteggi confusi la scuola di domani, innovativa, moderna…. Rinnega la scuola attuale definendola obsoleta e dispendiosa.
Il documento “La buona scuola”, infarcito di slogan entusiastici, scritto con un gusto grafico-stilistico un po’ retrò, quasi romanticamente evocante altri tempi, descrive una scuola dotata “di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo e qualità della democrazia”, considerata “un investimento di tutto il Paese su se stesso. Come la leva più efficace per tornare a crescere”, con l’idea di “essere l’avanguardia, non la retrovia del Paese”…. Ma siamo così?
Siamo solo una retrovia? È questo ciò che l’opinione pubblica pensa di noi? Quali sono gli elementi di debolezza dai quali questo governo è partito per ideare la sua proposta? Quali sono i reali obiettivi che questo governo (che non pare diverso da quelli che nell’ultimo decennio lo hanno preceduto) si è prefissato? Le parole chiave, su cui si poggiano le basi del documento, nascondono un retroscena tutt’altro che rassicurante: La stabilizzazione dei precari taglierà fuori dalla manovra migliaia di docenti che per anni hanno permesso alla scuola di funzionare in assenza degli insegnanti titolari in fruizione dei diritti riconosciuti al lavoratore.
La manovra interesserà solo una parte di essi, perché, a quanto pare, non tutti possono essere considerati “precari”! Inoltre i fortunati che saranno inseriti in un organico di fatto in reti di scuole, diventeranno la soluzione alle assenze sostituendo o occupandosi di attività saltuarie ed estemporanee dettate dalla sola motivazione organizzativa.
Il percorso di formazione e carriera dei docenti sarà portato sulla insidiosa strada della meritocrazia, lasciando gradualmente alle dinamiche sociali e culturali locali la scelta dei “bravi” ai quali dare una retribuzione maggiore, con un aumento tutt’altro che adeguato a quella “professionalità” tanto esaltata nel documento. Nascerà un portfolio per raccogliere i crediti didattici, formativi, professionali dell’insegnante. Curricula, questi, che diventeranno una ‘fantastica’ banca dati che permetterà ai Dirigenti scolastici di effettuare la, tanto anelata, “chiamata diretta” per i progetti, gli interventi aggiuntivi, e tutte le attività del POF che ogni anno vengono individuate. Un’imperdibile occasione per chi considera la scuola un’azienda dalla quale cogliere opportunità reddituali.
Dall’autovalutazione si passerà alla valutazione: valutazione della scuola sulla base di standard e misure stabilite dall’INVALSI; valutazione del docente sulla base dei risultati raggiunti negli apprendimenti in riferimento a parametri nazionali che non prendono in considerazione le condizioni d’ingresso degli studenti e il loro substrato culturale e sociale.
Gli organi collegiali cambieranno nella sostanza: il Consiglio d’Istituto diventerà una sorta di consiglio di amministrazione; il Consiglio dei docenti (ex Collegio Docenti) deciderà solo in merito alla programmazione didattica; il nucleo di valutazione avrà l’onere di decidere del futuro dei docenti determinando il loro scatto stipendiale; il Consiglio di Classe sparisce e con esso sparisce anche il confronto e lo scambio dialettico-professionale tra docenti. Ad esempio, la valutazione degli apprendimenti a chi atterrebbe? Al singolo docente? Si annulla il confronto anche su questo aspetto? Si delinea un rafforzamento del binomio scuola-lavoro, come se la scuola non fosse luogo della formazione di cittadini, ma solo ‘creatore di lavoratori ben ammaestrati’; un istituto che risponda alle esigenze del territorio e agli investimenti effettuati da imprese e fondazioni private. Sarà davvero, questa, una scuola più forte?
Una scuola di qualità? Una scuola realmente competitiva? Ma cos’è una scuola di qualità? Chi è il primo attore di questa qualità? Quali sono i parametri di qualità della scuola? Sono tante le domande che aspettano risposte articolate; non superficiali, ma ragionate e contestualizzate. Viviamo in un Paese in grado di determinare criteri oggettivi di valutazione e dunque di merito che non sortiscano disuguaglianze tra i docenti?
E ancora, una scuola come quella italiana, che ha sempre perseguito l’ideale dell’uguaglianza, sancito dalla Carta Costituzionale, saprà attenersi al principio dell’inclusione? Principio tanto osannato in questi anni e divenuto oggetto di studio e formazione che ha coinvolto buona parte dei docenti in servizio. Potrà dunque una siffatta scuola “escludere” proprio i docenti, con la presunzione di riuscire realmente ad individuare quelli capaci e meno capaci? Sarà possibile immaginare una scuola dell’ inclusività che non lo è per se stessa e per chi vi opera? Proviamo a volgere lo sguardo altrove e a cercare lo scopo principe della scuola: al primo posto va senz’altro individuata la strada che porta alla qualità dell’apprendimento.
È questo il vero segreto del successo di un sistema educativo: un percorso non più basato su nozioni inutili, guidato da metodologie sorpassate e da modi d’interazione a volte distruttivi perché di tipo eccessivamente direttivo. Un‘”istruzione di buona qualità” non è data semplicemente da grandi numeri di docenti che si suppliscono fra loro per ridurre i costi. Non è una fabbrica che pianifica accuratamente la propria catena di montaggio per raggiungere il miglior rapporto benefici-costi. Un’istruzione di qualità non è solo fatta di strumenti innovativi e infrastrutture moderne.
Non è l’informatica la panacea dei nostri mali e ancor meno lo è la competizione tra docenti che si sta configurando con sempre maggiore chiarezza. Al contrario la scuola è un’Istituzione formativa per statuto che ha come obiettivo l’Istruzione dei suoi cittadini. Un Paese che abbia realmente a cuore il proprio sistema d’istruzione sa (o è più corretto dire “dovrebbe sapere”) che in primo piano c’è l’alunno con le sue esperienze personali (e le Nuove Indicazioni Nazionali del 2012 ce ne danno conferma).
In primo piano va posto l’ambiente d’apprendimento scolastico, quale mondo dell’accoglienza e della condivisione; i contenuti dell’insegnamento, che devono essere sempre attenti alla società in evoluzione; i processi cognitivi e formativi adeguati alle tante intelligenze; ed infine i risultati dell’apprendimento, per far sì che lo studente diventi l’uomo e il cittadino che trova spazio e realizzazione nella costruzione della società vissuta. Noi tutti insegnanti sappiamo che ogni bambino, ogni ragazzo, porta con sé il proprio vissuto personale e la propria identità culturale, familiare e scolastica e la scuola, luogo di accoglienza e inclusività, deve farsene carico.
Una scuola di qualità, lo sappiamo bene, è attenta alla situazione familiare di OGNI studente, alle sue inclinazioni o alle sue difficoltà, a quanto la socializzazione e il processo di apprendimento possano essere condizionati o inficiati da esperienze pregresse. E spesso tra queste ci sono i malesseri determinati da una società nuova, frenetica, del consumismo e della superficialità.
Il compito del governo, dunque, è di creare le condizioni perché i docenti siano sempre adeguatamente formati per riconoscere i sintomi di questi disagi, della violenza subita o dello stress emotivo indotto; una formazione continua rivolta a tutti e finalizzata all’innalzamento delle professionalità, al miglioramento delle capacità comunicativo-relazionali e di gestione delle criticità a cui ogni giorno essi sono chiamati, sia nella delicata relazione docente-alunno che in quella con la famiglia e tra docenti. Una grande responsabilità è assegnata agli insegnanti: sempre più spesso l’unico soggetto in grado di salvare un bambino o un ragazzo dall’esclusione sociale o da situazioni ancora più dolorose.
Questa è la scuola di qualità: una scuola attenta all’ambiente di apprendimento nel senso più ampio che questa espressione può offrire. Una scuola che ha cura dei suoi studenti, la vera risorsa della società. La scuola che sa di essere un ‘pezzo’ importante della vita dei giovani cittadini e che ne può condizionare, nel bene o nel male, i risvolti personali o professionali. La scuola che sa di avere nelle mani soggetti fragili da trattare con cura, da accogliere sempre perché ognuno di loro abbia la possibilità di scoprire le proprie inclinazioni e iniziare un progetto di vita costruttivo. Questa scuola siamo noi, a noi la responsabilità di fare la differenza ponendo al centro i bambini e i ragazzi promotori del proprio processo educativo, conducendoli verso l’acquisizione delle competenze fondamentali per la vita.
Questa scuola siamo noi e nostra è la responsabilità di sensibilizzare chi ha una visione distorta e distante del mondo “scuola”, che non è fatto di modernizzazione fine a se stessa, riorganizzazione, calcolo ed economia, bensì di ‘Persone’ che chiedono di poter esprimersi in tutta la loro potenzialità e crescere come cittadini responsabili. Aiutiamo il nostro Paese a capire…
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