Al dibattito, scrive La Stampa, parteciperanno Angelo Roncoroni e Giovanni Reale (autori di libri), Giulio Gorello (direttore della collana “Scienza e idee”), Cristina Vernizzi (direttore editoriale RCS spa), Giuseppe Ferrari (direttore editoriale Zanichelli spa), Davide Guarneri (presidente AGE, Associazione Italiana Genitori), Angela Nava (presidente CGD, Coordinamento Genitori Democatici), Lucia Maurenzi ed Eva Giuliano (insegnanti). Presenterà Alessandro Carta, presidente ANARPE.
Le anticipazioni sui temi che verranno trattati le dà Paolo Barbero, presidente ANARPE Piemonte.
E per Barbero le scuole non sono pronte ad adottare libri digitali “e per diversi motivi. Un primo problema è infrastrutturale: molte scuole non sono dotate di banda larga in tutte le aule. Un altro riguarda invece la formazione dei docenti, e non parlo solo di alfabetizzazione digitale, ma soprattutto di innovazione della didattica: la rivoluzione 2.0, infatti, necessita il superamento della lezione frontale. Si tratta di innovazioni interessati, ma difficili da realizzare”.
Inoltre, dice ancora Barbero: “Ritengo che prima bisogna intervenire sull’edilizia scolastica, sui disturbi di apprendimento, i cosiddetti DSA, o sull’inserimento degli stranieri con percorsi specifici. Il digitale resta comunque un aspetto importante. Ma sarebbe opportuno spingere i docenti a sperimentare didattiche innovative attraverso le tecnologie e non imporre un cambiamento radicale a chi non ha formazione nè motivazioni sufficienti”
Tuttavia i ragazzi, dice Barbero “non mostrano particolare entusiasmo verso questi “nuovi” testi. I docenti hanno invece un atteggiamento preoccupato, dovuto alle difficoltà di utilizzo degli strumenti, alla mancanza di infrastrutture adeguate e alla mancanza di esperienza didattica. Per questo ritengo che la gradualità sia la chiave del successo per una scuola 2.0”
Per quanto riguarda i risparmi tra il 20 e il 30 per cento che le famiglie riceverebbero dall’adozione dei testi digitali, il presidente dell’Anarpe dice che “l’abbassamento dei tetti di spesa farà scendere di quella percentuale il prezzo dei libri, ma resta da capire chi metterà i soldi per l’hardware e la connessione per lo studio a casa. Credo tuttavia che la digitalizzazione rischi di rendere ancora più marcato il divario tra studente e studente, tra chi può permettersi gli strumenti tecnologi e chi invece no. Poi c’è il discorso dell’usato. Con il cloud computing i testi di seconda mano non troverebbero più mercato: gli accessi alle piattaforme e ai cloud per la consultazione dei materiali digitali, infatti, hanno una scadenza. Così, solo chi potrà permettersi libri nuovi avrà accesso ai materiali aggiuntivi e a quelli di verifica”. Si è inoltre chiesto al governo la “detraibilità dalla tesse del costo dei libri di testo”.
Diverso invece il discorso per l’editore che incasserà la metà di quanto accade attualmente e che “aggraverà la crisi che il settore. Sempre più librerie indipendenti, ormai, sono costrette a chiudere mentre la grande distribuzione organizzata ha causato una riduzione delle vendite in libreria anche oltre il 30%. La promozione editoriale nelle scuole rischia di non avere più energie sufficienti per presentare prodotti sempre più articolati, trasformatisi di fatto da “libri di testo” in veri e propri “progetti didattici multimediali”. Per quanto riguarda le altre figure della filiera (trasportatori, stampatori, redattori ecc…), rischia di essere una carneficina. E’ stata calcolata infatti una riduzione dell’occupazione in tre anni di circa 15% su 35.000 occupati. Senza contare che questo famoso 20-30% andrebbe a beneficio di industrie straniere produttrici di strumenti tecnologici, a danno dell’industria italiana”
In Europa “secondo la classifica dei test Pisa 2009 sulla digitalizzazione nelle scuole, l’Italia si trova al ventinovesimo posto e gli USA al diciassettesimo. Al primo posto Shanghai. Seguono Corea del Sud, Finlandia, Hong Kong, Singapore, Canada, Nuova Zelanda, Giappone, Australia, Paesi Bassi. Ritengo che gli esempi da seguire siano soprattutto europei e che la distinzione non vada fatta sull’inserimento del digitale nelle aule, quanto piuttosto sulla percentuale di PIL destinata all’istruzione, con tutto quel che ne consegue in termini di strutture scolastiche, retribuzione del corpo docenti e motivazione degli stessi”
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