Ieri, 13 aprile, all’istituto tecnico economico Enrico Tosi di Busto Arsizio (Varese), si sono confrontati su alcuni temi cari alla scuola l’ex Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e il giornalista Davide Giacalone. Sono emersi alcuni spunti interessanti dalle visioni per certi versi divergenti dei due ospiti: il primo ha parlato, come ha fatto nel passato, di una scuola inclusiva e affettuosa, mentre il secondo degli aspetti positivi della competizione.
I loro interventi sono stati riportati dal giornale locale Varesenoi. “La società sta cambiando. Prima non c’era quella concorrenza che c’è oggi, cambia il peso del ruolo sociale dei giovani che, essendo sempre più in minoranza, devono avere in dote una formazione più efficiente. La società sta perdendo il senso del dolore e della fatica e la scuola dovrebbe essere un luogo dove sperimentare dolore, fatica. Anche il timore aiuta a crescere. Un Paese dove la scuola regala premi e voti non è un Paese che vuole bene ai suoi giovani”, ha detto Giacalone, facendo un’analisi.
Quest’ultimo si è concentrato sull’aspetto della competitività a scuola. “L’orgoglio di essersi costruiti una vita è un bene impagabile. Ora il mondo è più competitivo, non basta il docente severo, ma anche capace”.
Il giornalista si è detto a favore delle valutazioni numeriche: “Non bisogna avere paura della sintesi espositiva. La sintesi dei numeri è fondamentale: lo vediamo in tante circostanze, da quando ritiriamo un esito di esami medici a tanto altro. La competizione è normale nella nostra società, perché allora togliere alla scuola elementi naturali come la competizione e il confronto che si ritrovano in tante altre realtà a partire dal mondo dello sport? Il mondo si misura e i ragazzi vanno abituati. La vita è una grande palestra di competizione continua e la scuola deve formare ragazzi adeguandoli a questo sistema”, ha concluso, andando, magari, controcorrente.
“Il sistema di valutazione deve essere coerente con il modello di educazione – ha voluto chiarire l’ex ministro Bianchi – Il modello educativo si sta spostando verso una modalità di lavoro in gruppo. La valutazione deve rispettare un sistema oggettivo, conosciuto da entrambe le parti, non di negoziazione ma di giustificazione. La scuola deve essere al centro della comunità, il suo perno”.
Ecco di cosa si è occupato poi Bianchi: “La scuola deve raffigurare l’intero Paese. In Italia abbiamo sviluppato una significativa pedagogia dell’inclusione. Prima la scuola aveva il compito di allineare tutto: c’era il mito del programma, il mondo era molto diverso. Se pensiamo che nel 2041 solo una famiglia su quattro avrà figli, dobbiamo riflettere su una scuola che deve cambiare”.
“Nella fase attuale caratterizzata da una società dominata da incertezze occorre una scuola che faccia imparare a vivere sereni, a imparare a imparare, che faccia apprendere a gestire i processi di trasformazione, che faccia imparare a vivere insieme, una ricerca della complementarità”, questo, a suo avviso, l’obiettivo della scuola. “Insomma – ha precisato l’ex ministro – una scuola aperta, inclusiva e affettuosa, capace di far imparare ai ragazzi a creare legami sociali adeguati”.
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