Precaria di prima, volontaria scelta da sei anni, con all’attivo servizi su sostegno-materia-serale-diurno-potenziamento-coordinamento-pcto-viaggi di istruzione-concorsi: presente… ma non abbastanza.
Perché no, non posso ancora definirmi a pieno titolo un’insegnante, io in effetti sono solo una supplente che ha la “fortuna” di onorare ogni anno la scuola pubblica. Ma ancor più grave è che in tutto questo tempo ho avuto modo di constatare che dall’altro lato, di fronte a me, non ho neanche più di fatto degli studenti, ma chi allora?
La scuola, oggi, incorpora sigle, terminologie e fini propri del mondo economico e, come ogni esercizio commerciale che si rispetti, stila progetti di incrocio domanda-offerta somministrando svariati e molteplici servizi per lo più esperienziali.
Ci deve essere sicuramente stato un momento sperimentale in cui tutto ciò costituiva una visione progressista ed evolutiva della dimensione educativa, ma oggi, allo stato attuale, siamo sicuri di non essere quasi giunti all’estremo opposto?
La scuola oggi stipula contratti, assicura garanzie alle famiglie, non pretende mai troppo, si dimena in tribunale. Si difende. Non fa che difendersi, neutralizzare avvertimenti, evitare errori formali, mediare tra animi tesi, avvalersi di precari con cui non può neanche fidelizzare.
Io stessa, ogni anno, ho la sensazione di autoinvitarmi a casa di estranei che quando poi finalmente conosci devi salutare perché è giunto il momento di togliere il disturbo. E non sia mai che ti affezioni, perché settembre arriva per tutti e quell’algoritmo senza coscienza dovrà pur catapultarti lì dove il mare non luccica.
Ora, quindi, addotta la veste manageriale del caro vecchio Preside, la propensione al consumo di insegnanti usa e getta, la funzione difensiva di famiglie e legali al loro seguito, mi dite cosa può mai restare di quelli che una volta si chiamavano studenti? Clienti! Consumatori di pillole di apprendimento, quasi neanche più promossi (nel senso progressista del termine) ma declassati a idonei/non idonei (evidentemente alla spendita), dirottati a vantare garanzie invece che diritti, parcheggiati a soddisfare dipendenze da smartphone. Benvenuti al centro… commerciale!
E allora il mio più caro invito non può che rivolgersi anche a loro, a sollevare la testa, a smetterla di farsi rimpinzare di cookies, a ridimensionare l’ambito virtuale per recuperare proprio dentro la scuola quella ormai quasi sconosciuta e discutibile sensazione che potrebbe ancora guidarci tutti, l’umanità.
Stefania A. D’Andrea
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