I risultati (disastrosi) delle prove Invalsi sono sotto gli occhi di tutti. Il tentativo del governo Conte di regionalizzare l’istruzione anche. Il mondo della scuola vive, ancora una volta, un momento critico.
Dal punto di vista dell’istruzione l’Italia è divisa in due: una che capisce e sa leggere l’inglese e l’altra no, una che sa fare di conto e ottiene risultati positivi in matematica, l’altra no, una che parla e scrive correttamente in italiano e l’altra, purtroppo, ancora no.
I dati del rapporto Invalsi, già ampiamente analizzati dalla Tecnica della Scuola, fanno emergere “innegabili motivi di preoccupazione”, afferma il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
L’incapacità di apprendere l’italiano limita non solo la conoscenza, ma anche il pensiero e rende lo studente facile preda di pensieri demagogici o peggio anche di fake news, dilaganti, soprattutto sul web. L’impoverimento lessicale riguarda tutti, piccoli e grandi.
Il docente “prigioniero” della burocrazia
Su Internazionale, celebre rivista di politica estera, è apparso un articolo a cura di Claudio Giunta, docente e saggista, che analizza, senza fronzoli, l’attualità scolastica e soprattutto il reclutamento di nuovi docenti: “La scuola è diventata una macchina che incoraggia i burocrati e scoraggia gli intellettuali. Chi vuole leggere e insegnare decentemente Petrarca o Kant o Darwin o la trigonometria si trova avviluppato in una rete fatta di procedure da espletare, documenti da completare, riunioni a cui partecipare, verifiche a cui sottostare, senza contare tutti gli altri infiniti ostacoli della gimkana (alternanza scuola/lavoro, test Invalsi, gita scolastica, genitori efferati su WhatsApp). Ma gli insegnanti sono – devono essere – degli intellettuali: Petrarca, Kant, Darwin e la trigonometria non sono il contorno del loro piatto, sono l’arrosto. Credo che portare nelle scuole insegnanti per lo più giovani che abbiano passato tre anni o più a lavorare su questo arrosto possa avere anche sugli altri un effetto vivificante”.