Che può fare la scuola di fronte alle stragi perpetrate dai terroristi che si rifanno all’Islam? L’interrogativo nasce perché è stato osservato che gli assassini, kamikaze o no, sono figli di genitori arrivati dai Paesi di origine magari da più generazione e quindi nati in Europa.
Tuttavia molti di loro non accettano la condizione dei loro padri e si ribellano, rifiutano i ghetti dove per lo più sono stati rilegati, ma accettano molto del tenore di vita occidentale, dalla discoteche all’alcol, tranne nei suoi aspetti culturali più importanti, come quelli sorti dalla rivoluzione francese e dall’Illuminismo.
I valori legati alla sacralità della vita, alla dignità della persona e alla divisione dei poteri che le lotte cesaropapiste del medioevo sancirono in Europa.
Ma la nostra civiltà, proprio perché fondata perfino sulle grandi ideologie socialiste e su solide basi cristiane, impone pure di capire quali sono le proprie responsabilità, per provare a porre rimedio a quanto sta accadendo e dare risposte culturali per costruire percorsi alternativi.
Uno di questi dovrebbe essere l’abbattimento dei ghetti dalle tante periferie, dentro cui costoro sono rilegati e dove pure insistono persino le scuole nelle quali sono pochi i docenti di ruolo che vi intendono rimanere, ma dove vengono spediti i supplenti e i nuovi nominati.
Sarebbe un primo passo incentivare i docenti più motivati e con più esperienza.
E sono proprio le scuole di periferia dove si ha il maggior numero di ragazzi stranieri, di secondo e anche terza generazione, e quelle delle zone più degradate, mentre si sono pure formate in molte città italiane classi con una maggioranza imbarazzante di stranieri a cui perfino la cittadinanza è negata e i servizi più essenziali, e da dove gli alunni italiani scappano.
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Allora bisognerebbe partire proprio dai ghetti, forzando le istituzioni scolastiche a obbligare a delle ore di educazione alla cittadinanza, compreso un nuovo approccio all’ora di religione cattolica che dovrebbe assumere una nuova veste e un nuovo obiettivo didattico, in cui anche il corano e la Torah, per esempio, siano oggetto di studio e comprensione.
Certo, c’è il problema della preparazione dei docenti, ma se si cominciasse a fare lo sforzo di capire da dove deriva l’odio così feroce di questi ex studenti delle scuole europee che si lasciano lacerare dalla bombe per uccidere loro simili, forse si potrebbe iniziare un discorso nuovo che è pure legato al lavoro e alla sua sicurezza.
Non valgono infatti le invettive di fronte a stragi di tale bestiale portata, vale invece la proposta di modelli educati diversi, più inclusivi e di alto livello interculturale.
Una scommessa di civiltà affidata alla scuola a cui la politica dovrebbe dare fiducia e mezzi, indirizzi e risorse, se vuole essere politica seria.
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