La DAD è un atto d’amore, scrive Giuseppe Iaconis, su La Tecnica della Scuola. Ha ragione. E’ vero.
Ma è soprattutto vero perché esso nasce da una coscienza che non gli necessita nemmeno il giuramento di Ippocrate, come per i medici. Del resto l’essere insegnate in un certo senso è una vocazione, un sentire profondo. Una attenzione verso l’altro. Un Altro che ha il volto del futuro: così chiamiamo i nostri giovani.
Non è retorica la mia, ma un pensiero che nasce dall’emozione prodotta dalla lettura di Giuseppe, nella piena consapevolezza del delicato ruolo a cui noi docenti siamo chiamati, e di come, a seconda il vento, siamo tutti considerati dalle differenti parti sociali: Politica, Famiglie, Società Civile.
E come il buon Giuseppe scrive, se inizialmente si guardava a noi come coloro che salvano la Scuola nel suo ruolo istituzionale e sociale, oggi, che la DAD di fatto si presenta in tutta la sua nudità di metodologia fragile, siamo per tutti, o tanti, un problema da risolvere, per nascondere in vero altre verità spesso personali degli stessi soggetti di cui prima mensionavo, che dietro la assenza della presenza nel luogo della formazione culturale, velano interessi che nulla hanno a che fare con il reale ed esistente bisogno di un ritorno alla normalità per e degli studenti.
Si, la DAD può considerarsi un atto di amore, visto poi la mole di lavoro che essa richiede e produce, oltre alle classiche ore didattiche in remoto, e senza alcun riconoscimento economico (tutto è dovuto…)(e questo i Soggetti di cui sopra, ne sono dimentichi…).
La DAD ha perso il suo ruolo emergenziale sottolineato dall’aggravio dell’abbandono scolastico (35.000 unità), e di conseguenza la mancanza in numeri di iscrizioni, con tutto quello che ne comporta dal punto divista sociale, culturale e lavorativo, per tutti i soggetti interessati.
Tornare a Scuola, riessere Scuola. Ma non dimentichiamo che il prolungarsi dell’assenza Scuola, è dettata dalla mancanza di un di fatto progetto di sicurezza, poiché la Scuola in sé, come luogo topografico, così come il nostro appartamento, non è un soggetto a rischio di contagio, ma lo diviene quando dall’esterno vi partecipano fattori (presenze) di cui non si hanno garanzie immunitarie (se così posso esprimermi).
I trasporti, l’areazione nelle classi, e tutto il resto resta assente per le voci che manifestano il dissenso e chiedono un ritorno in classe: davvero siamo così incoscienti da non capire, o vedere, il rischio? Si pensa per un attimo cosa accadrebbe se un solo studente, un docente, o un operatore ATA, risultasse positivo, forse senza neppure saperlo? Di certo tutto e tutti si andrebbe in rivolta: il CAOS.
Dobbiamo giungere a questo: il toccare con mano, alla San Tommaso, per prendere sul serio la cosa?
Siamo in guerra pandemica o ci stiamo prendendo per…?
Chi scrive lavora in presenza in Laboratorio (anche questa, poi, è una contraddizione…). E non nascondo la paura che talvolta percorre il mio essere, visto il treno o il bus da prendere per giungere a scuola, e poi stare tre ore in un luogo con areazione naturale, ma che visto il freddo, non sempre consegna un respiro rinnovato.
Certo l’occasione di ore in presenza in Laboratorio, mi riconsegnano, ci riconsegnano, il senso e la bellezza dell’essere Scuola, che ci appare così lontano, dopo questo lungo periodo di lockdown. Ma è altresì vero che gli sguardi che si incrociano e qual discreto avvicinarsi per intervenire su un problema didattico (l’esecuzione di un programma in C++, per esempio), non nascondono affatto, ma denunciano e testimoniano il timore di tutti e di ognuno. Ma anche questa è Scuola, in tempo di Covid.
Si la DAD è un atto di amore. Perché, la SCUOLA è e resta, comunque e sempre , un atto di amore.
Mario Santoro
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