Lungi dal cercare di cedere alle tentazioni dei riduttivismi e del pessimismo emotivo, la vicenda del ragazzo che si è presentato ad un appuntamento sacro e di alto valore istituzionale, quello dell’esame di maturità, con uno slogan, “La scuola italiana fa schifo, impone una lettura critica delle tendenze in atto.
Chi lavora nella scuola non può accettare un messaggio palesemente offensivo nei confronti non solo della scuola, ma anche dello Stato, dei suoi rappresentanti, degli studenti e delle studentesse, dei tanti docenti che, quotidianamente, si adoperano per garantire quel “diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, fermamente voluto e difeso dai Padri costituenti.
Il mestiere dell’insegnante risponde ad una deontologia sempre più puntuale ed incisiva, che richiede il coraggio di scelte impegnative e la conseguente rinuncia a navigare nelle acque comode dell’improvvisazione.
Nella consapevolezza che l’insegnamento e l’educazione non operano entro una campana di vetro, bensì in un ambiente esposto a sollecitazioni complesse, occorre far comprendere che la scuola, con tutti i suoi limiti e difficoltà, ha come unico obiettivo quello di promuovere l’uomo ponendosi al suo servizio.
Pertanto, la scelta dello studente suscita seri e fondati dubbi nei confronti di una strumentalizzazione in cui si confondono prospettive e problematiche che, di fatto, determinano una disgregazione delle personalità e del tessuto comunitario.
Gli ampi orizzonti nei quali si colloca l’esperienza scolastica e la pratica educativa, intese anche nelle loro implicazioni umane e sociali, non possono essere offuscati da luoghi comuni, da opportunismi, improvvisazioni, superficialità. Molte mitizzazioni non sono ancora alle spalle e i maggiori pericoli sono quelli del semplicismo, degli slogan, delle mode, dei ripetizionismi verbali o da stravaganti improvvisatori avulsi dall’essenza specifica dei processi educativi.
La scuola, per sua natura, non è un alimento da gustare o disprezzare, bensì progetto di una fantasia creatrice che si pone in situazione e, con intenzionalità rappresentativa, procede oltre, guarda in avanti.
Chi non si pone in termini di promozione, di sviluppo, di crescita, porta, inevitabilmente, alla dissoluzione dell’efficacia educativa, alla obnubilazione dei principi e dei fini della stessa educazione.
La critica istituzionale va intesa, soprattutto, come analisi delle istituzioni socio-educative al fine di disoccultarne indifferenze e scetticismi, che sono i principali fattori che producono malessere e sfiducia in chi insegna e in chi apprende.
Sicuramente, c’è un problema di qualità dell’educazione da risolvere, che deve impegnare educatori, insegnanti, famiglie, studenti e studentesse e chi ha responsabilità nell’ambito della politica culturale, educativa e scolastica del nostro Paese.
È pacifico che la scuola debba rinnovarsi nelle strutture, nei contenuti, nelle metodologie e nelle funzioni operative, ma non bisogna trascurare, dimenticare, sminuire, ignorare o, peggio, offendere il grande patrimonio culturale elaborato e costruito dalle passate generazioni.
La nostra scuola, nel bene o nel male, è il vessillo di una Nazione, è la manifestazione di un ordine educante non confondibile o identificabile con alcune vistose, equivoche e sterili azioni di sfida che, inevitabilmente, sfociano in una strana e vacua deprofessionalizzazione della funzione docente.
La scuola attraversa, condiziona e domina tutte le espressioni sociali, è intimamente legata alle vicissitudini del vivere e dell’esistenza, è soggetta alle trasformazioni del cosiddetto progresso, è animata dal senso della dignità umana e dalla gioia dell’attività che corona un impegno, ma non potrà mai accogliere e accettare messaggi trasmessi secondo nuove semantiche e nuove sintassi che evidenziano una percezione aleatoria e distorta della scuola e dell’educazione.
A rendere ancor più complesso questo quadro di ebollizione pseudo critica e di diffuso disorientamento degli spiriti, ci sono gli effetti di alcune mode culturali (oggi, parlar male della scuola è diventato una sorta di obbligo intellettuale), strumentalizzazioni e ideologizzazioni, che allontanano dalla piena consapevolezza del pensiero critico e della coscienza.
La sfida più incombente è quella che proviene dalla nostra memoria ontologica che abbraccia passato, presente e futuro, in cui l’educazione assume il carattere imprescindibile di una finalità primaria: quella di suscitare la coscienza morale contro le minacce delle manipolazioni psicologiche.
Il cambiamento non può che giustificarsi nel valore e nei valori e la critica può essere accettata solo se rinnova o propone valori, e non disvalori o antivalori.
Fernando Mazzeo