E’ vero che i richiami alla riforma gentiliana come un buon modello di scuola possono sembrare anacronistici, però me non sembra che vi sia un intento di rivalutare il classismo o nascoste nostalgie di fascismo. Chi lo fa non sembra preoccupato del passaggio da un modello esclusivo e diseguale a uno egualitario ed inclusivo. Gli odierni “gentiliani” criticano piuttosto il passaggio dalla scuola delle conoscenze alla scuola delle competenze, che vorrebbe darsi la veste di innovazione e di aggiornamento dei saperi ma in realtà ci pone di fronte ad un trasferimento di conoscenze dai cervelli umani a quelli elettronici.
Occorre domandarsi se questo trasferimento sia più o meno opportuno e se non abbia qualche ragione la studentessa di liceo che si sente umiliata da una scuola che le insegna a fare ‘le storie’ su instagram. Sarebbe bene non chiudere il dibattito con pretestuose accuse di fascismo o con una pretesa inevitabilità dei cambiamenti che alcuni hanno già (poco democraticamente) deciso per tutti.
Non conoscere gli affluenti del Danubio e non ricordare se alla conferenza di Yalta c’era Stalin o Napoleone potrebbe non essere un problema, giacché la risposta ce la darà lo smartphone in due secondi, ma se qualcuno si chiede se questo trasferimento di saperi non renda le persone meno consapevoli e meno autonome rispetto al passato, la domanda non va respinta come rigurgito di fascismo. Semmai il contrario: era il fascismo a disdegnare il pluralismo di idee di cui si nutre il pensiero critico. Il fascismo promuoveva ordine e obbedienza che si possono ben coniugare con algoritmi, standardizzazioni e con lo scientismo imposto dalle STEM.
Una eventuale perdita di autonomia e di consapevolezza nelle future generazioni diventerebbe anche perdita di democrazia, perché la democrazia non è omogeneità culturale tra ricchi e poveri, è soprattutto possibilità di partecipazione attiva e consapevole.
Ho sempre condiviso le critiche di don Milani al modello gentiliano, quindi non credo di esserne un nostalgico, tuttavia non mi sembra che la Costituzione del ’48, nel sancire la libertà delle scienze e delle arti, insieme al loro libero insegnamento, volesse orientarci verso un futuro di cittadini ben addestrati (competenti) a gestire le chatGPT o a servire le imprese in ogni loro richiesta. Gli algoritmi delle IA, da cui saremo governati, qualcuno (chissà dove e chissà come) li informa; le imprese qualcuno le orienta.
Se la scuola delle competenze rinuncia a formare un pensiero critico capace di sorvegliare anche i livelli alti (e sempre più nascosti) delle decisioni, significa che ci raccontiamo la favola dell’inclusività ma di fatto stiamo cacciando via da quello che era il liceo gentiliano anche i figli della borghesia che prima avevano il privilegio di accedervi.
Tommaso Palermo
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