Il 30 ottobre 1938, Orson Welles annunciava dalla radio con voce roca e profonda che i marziani erano sbarcati in America. In realtà stava leggendo una pagina del libro "La guerra dei mondi" di Herber George Wells, antesignano della letteratura fantascientifica.
Gli Americani presero sul serio la notizia tanto che, come sappiamo, si fecero prendere dal terrore e dal panico. Molti fuggirono dalle loro case. Ci furono persino suicidi.
L’11 settembre 2001, la televisione americana trasmette in diretta il crollo delle torri gemelle del World Trade Center di New York ad opera di kamikaze di una ancora non ben identificata organizzazione terroristica.
Si vedono l’aereo che penetra nella seconda torre e ne esce in una fiammata, il crollo delle torri gemelle che copre i primi soccorritori, la fuga e l’evacuazione dei sopravvissuti.
In molti speriamo che si tratti di fantascienza anche se televisiva, questa volta. Purtroppo non è così.
I bambini leggono il terrore negli occhi dei genitori. Sentono che non si tratta delle solite guerre virtuali alle quali li hanno abituati i soliti video games. Si trovano dinanzi a scene reali che irrompono nella loro realtà virtuale.
Non è facile per loro, specie per i più piccoli, capire la differenza tra realtà e fiction. Nel vastissimo repertorio dei loro giochi telematici non erano, in verità, mancati attacchi terroristici, aerei con il loro carico umano contro grattacieli, torri di centinaia di metri che crollavano sotto il peso degli attacchi terroristici.
Oggi devono capire che tra i loro video games e la realtà offerta dalla televisione c’è una grande differenza. Lì non c’era il sangue, l’odore dei corpi che bruciano, i detriti che tutto coprivano. Il telematico non prevede, infatti, il dolore, il pianto, la disperazione. Inizia e finisce lì. La realtà, invece, ha la vigliaccheria di prima e il pianto di dopo. Il lungo pianto, questa volta di milioni di persone innocenti il gioco finisce, la realtà continua nel dolore.
Degli avvenimenti della realtà, allora, bisogna continuare a parlare ai piccoli, bambini o ragazzi che siano. Ma come parlare ai piccoli teleutenti di dolore, di sofferenze, di violenza, di pericolo continuo, insomma. Questo è il vero problema.
Molto possono la famiglia e la scuola, non per creare in loro i traumi che non avevano provato quando avevano confuso la realtà virtuale con quella vera, ma per far capire dove finisce il gioco e dove inizia la vita, la storia dell’uomo.
Come? Non è facile dire in poche parole. La scuola, è innegabile, ha il compito di stare vicina ai ragazzi e ai giovani formando in loro coscienze a cui ripugnino l’odio, la violenza, la sopraffazione e tutte le manifestazioni del male, oggi come nel passato, sempre in agguato.
Deve insegnare a vivere, a trovare, di questa vita, gli scopi sacrosanti, il fine ultimo che è quello di contribuire a costruire una società senza guerra, senza violenza, resa forte dai princìpi della democrazia, della giustizia, della pace.
Deve insegnare a capire dove finisce il bene e inizia il male, puntando a formare coscienze forti, coraggiose, capaci di desiderare il bene e di odiare il male dei propri fratelli e del proprio Stato.
Deve educare il carattere, l’animo, il cuore degli alunni di oggi, cittadini di domani che sentano i sentimenti del loro vivere insieme agli altri, a tutti gli altri, vicini e lontani.
Lo potrà fare quanto più sarà aperta, flessibile, dinamica, antimetodica, libera, quanto più saprà educare a stare con gli altri, a lavorare in gruppo, ad assumere decisioni liberamente ponendosi essa stessa come ambiente di vita democratica e serena in cui ognuno è chiamato a contribuire alla crescita di tutti gli altri.
Dovrà, in definitiva, puntare meno all’istruzione e di più all’educazione degli alunni come persone, con una loro dignità, portatori innanzitutto del diritto inalienabile alla vita. Questo il compito e il ruolo della scuola di domani
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