All’inizio della settimana il responsabile del Department of Education del Regno Unito, Gavin Williamson, aveva comunicato ai cittadini britannici la data ufficiale della riapertura delle scuole, il prossimo 1° giugno, limitatamente all’ultimo anno della scuola dell’infanzia, e al primo e al sesto di quella primaria, rimandano di un paio di settimane quella degli anni successivi. Immediate sono state le polemiche e lo scontro sui principali media inglesi si è fatto acutissimo. Uno sguardo a quanto sta succedendo a Londra e dintorni, rifacendosi a quanto appare soprattutto sui quotidiani sui canali televisivi del Regno Unito, può diventare un’occasione per riflettere sull’andamento del rapporto tra infezione da Covid -19 e il mondo dell’Education.
Molte sono state in Gran Bretagna le proteste generalizzate di associazioni e sindacati, a cui si sono aggiunte dichiarazioni anche da parte di chi è stato chiamato in causa direttamente dalla stampa e dall’opinione pubblica, come per esempio Osama Rahman, il consigliere scientifico del Dipartimento dell’Istruzione, il quale nega di avere dato la propria adesione al provvedimento di riapertura, affermando di non avere seri riscontri scientifici sulla minore diffusione del virus tra i bambini. Molto forti anche le parole di Carol Monaghan, parlamentare dello Scottish National Party, che da ex insegnante afferma di non essere affatto soddisfatta delle decisioni del Department of Education. In un comunicato congiunto le associazioni nazionali dei Dirigenti Scolastici (National Education Union e National Association of Head Teachers) chiedono di rimandare il rientro degli studenti della scuola primaria, insistendo su maggiori chiarimenti a proposito dei test virologici e ulteriori informazioni sulle misure di igienizzazione che saranno attivate. Mary Bousted, che dirige la NEU, aggiunge: l’idea della prossima riapertura sta facendo crescere l’ansia tra docenti, che per esempio si chiedono come sia possibile osservare le misure di distanza e igiene sanitari. Non mancano altri interventi nell’accesso dibattito, tra cui la voce di Chris Whitty, a capo dell’ufficio sanitario del Regno Unito, che afferma di aver attivato uno studio sull’impatto della diffusione del virus (fattore R) dovuto all’eventuale immediato rientro nelle aule dei bambini e delle bambine inglesi. Amanda Spielman, a capo del Comitato di Controllo dell’Ofsted, Office for Standards in Education, ha recentemente sostenuto come “la didattica a distanza sia un povero sostituto di quella in presenza”, aggiungendo come sia forte il suo timore per l’aumento del numero di bambine e bambine che a seguito dell’impatto della chiusura delle scuole manifesteranno il bisogno di diverse forme di assistenza, pertanto è necessario, secondo Spielman, ritornare il prima possibile alla normalità. Sappiamo, ha detto ancora Spielman, come in questi giorni in molti nuclei familiari la pressione economica e altra forme di disagio stiano facendo aumentare i casi di violenza domestica”.
La polemica sta diventando anche uno scontro politico in Gran Bretagna, dove alla decisione del conservatore Williamson, ribattono gli oppositori, tra cui Rebecca Long-Bailey, rappresentante del British Labour Party, che sostiene che quanto finora resto noto non testimonia l’effettiva sicurezza per bambini e insegnanti che dovrebbero rientrare a scuola tra poche settimane; inoltre Long – Bailey si sofferma su quanto alta sia la preoccupazione tra le famiglie, laddove i bambini possano essere trasmettitori del virus o portatori.
Nel Regno Unito il sistema scolastico prevede un coordinamento centrale da parte del Department of Education, tuttavia in ciascuno dei paesi vi sono ampi margini di autonomia rispetto alle decisioni del governo centrale, pertanto in Galles il Primo Ministro Drakeford non farà riaprire le scuole il 1° giugno, e l’eventuale riapertura non avverrà prima delle vacanze estive, mentre in Irlanda del nord, il ministro dell’Istruzione Weir, ha già dichiarato che non è previsto alcun rientro in aula prima di settembre.
(fonte www.bbc.com/news )
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