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La scuola italiana è classista? Forse no

È o non è classista la scuola italiana, dopo la pubblicazione dei Rapporti di autovalutazione che hanno consentito a certi dirigenti di appendersi medaglie elitarie?

Giovanni Gentile

A pensarla classista fu la grande riforma della scuola di Giovanni Gentile che, all’indomani della Marcia su Roma, consegnò a Mussolini, già maestro elementare, ma pure giornalista e scrittore di feuilleton, “La più Fascista delle Riforme”, ma che, per lo più, nonostante mille aggiustamenti, ancora rimane la colonna portante del nostro ordinamento.

È quindi del tutto naturale che il liceo classico rimanga, nonostante tutto, il percorso privilegiato dei ragazzi delle famiglie più abbienti, mentre i tecnici e i professionali siano scelti, sia da chi ha qualche difficoltà alle secondarie di primo grado, sia da chi non può permettersi sbocchi universitari e ha bisogno di lavorare subito per contribuire al bilancio familiare.

Scuola in chiaro

In ogni caso nella scelta della scuola non si sfrutterebbero i dati presenti nel portale “Scuola in chiaro” del Miur, tanto che, rileva Skuola.net in un sondaggio, il 73% degli studenti non ne ha mai sentito parlare, mentre del restante 27%, che afferma di conoscerlo, solo il 55% dice di averlo usato prima di iscriversi.

Inutile quindi appuntarsi medaglie al petto, come ha fatto qualche dirigente con superficialità disarmante, per attirare qualche iscritto in più, mentre rimane latente l’idea che ci siano, nel territorio italiano e in ogni città, scuole di serie A e scuole di serie B; per élite e no.

Scuola di serie A o di serie B?

Non si capisce però se il metro elitario della serie A siano la mancanza di stranieri o di alunni col sostegno o di poveri, e se non invece il fatto che, tendendo a ghettizzare stranieri e diversi, poveri e disoccupati verso quartieri periferici non siano queste le motivazioni più evidentemente efferate.

È vero che le classi sociali, quelle così bene descritte da Karl Marx nell’Ottocento, si sono col tempo ampliate e diversificate, cosicché il ricco e sempre più ricco e il povero sempre più povero, ma è anche vero che la scuola è stata per anni un formidabile ascensore sociale, anche se nella scelta del corso di studi ha influito per lo più la provenienza sociale, il livello di studio dei genitori, la professione esercitata, ma talvolta pure i suggerimenti dei prof in fase di orientamento.

Almadiploma

Interessante è pure, come suggerisce Skuola.net, il confronto coi dati di Almadiploma, secondo cui fra i “diplomati nel 2017 il 14% dei ragazzi con almeno un genitore laureato aveva concluso la scuola secondaria di I grado con “10 o 10 e lode”; questa percentuale si riduce all’8% fra i figli di genitori con il diploma di maturità e al 4% fra i figli di genitori con grado di istruzione inferiore. Analogamente, chi ha genitori di estrazione sociale elevata ottiene “10 o 10 e lode” nell’11% dei casi, mentre chi proviene da famiglie meno avvantaggiate raggiunge il massimo dei voti solo nel 6% dei casi”.

Anche questi per lo più sono dati che possiamo definire “ineluttabili” in una società a capitalismo avanzato e neoliberista, che gioca a rimpattino non già sulla distribuzione equa della ricchezza, ma nel suo monopolizzarla in attesa che si crei benessere.

La destra neoliberista

Da questo punto di vista si capisce pure il motivo per il quale una certa destra, neoliberista appunto, tanta a favorire le scuole private e a finanziarle, proponendo il famoso voucher, uguale per tutti, da spendere presso “l’impresa formativa” che si ritiene più adatta alla formazione dei figli.

Tuttavia, in questo caso, le differenze fra scuole si accentuerebbero molto ma molto di più, perché, mentre i benestanti possono aggiungere una retta, anche consistente, al voucher, migliorando così l’offerta formativa, i cosiddetti poveri devono accontentarsi di ciò che offre quella scuola, sia in termini di docenti (scelti secondo logiche economiche e non da graduatorie), sia di servizi.

Pasquale Almirante

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