Scuola: a che punto è la notte? Se lo chiedono molti docenti, specie dopo che il Governo ha fatto capire di volerli inchiodare ai “device” — come galeotti al remo — mediante la “Didattica a Distanza” (“DaD”), persino quando l’emergenza sarà finita. Col suo libro “La Scuola distrutta: trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese”, Stefano D’Errico chiarisce il percorso storico grazie al quale si è potuti arrivare al punto in cui siamo.
Domande
Perché i docenti italiani, se si parla di Scuola, non vengono nemmeno interpellati? Perché nell’Italia d’oggi si leggono articoli giornalistici con punteggiatura, sintassi, congiuntivi errati? Perché tanti giovani ignorano le basi del vivere civile e del rispetto per l’Altro? Perché i quiz televisivi rivelano un’ignoranza diffusa, tanto crassa e paga di sé da far sì che alcuni pongano la morte di Hitler nel 1989, mentre altri credono che Roosevelt fosse alleato col Duce? Come mai molti quarantenni non sanno collocare sulla carta geografica né Ferrara né Dubai, ma non hanno mai visitato la prima, mentre conoscono tutti i locali e le attrazioni della seconda? Perché i laureati d’oggi son mediamente più vacui di quelli di 30 anni fa? Perché raramente i loro discorsi si discostano dal quotidiano, dai prossimi cinque minuti, da un “orizzonte che si ferma al tetto”?
Risposte
Le risposte son molteplici e hanno a che fare con la storia recente del nostro Paese, con la sociologia, con la psicologia; ma anche, molto, con la politica scolastica degli ultimi 30 anni. Infatti, nel vortice neoliberista che dal 1989 ha sconvolto l’intero pianeta, sarebbe stato opportuno rafforzare l’efficacia dell’istituzione Scuola, permettendo ai docenti di lavorare in edifici accoglienti, in classi di 20 alunni, con retribuzioni dignitose. Lo Stato avrebbe dovuto comunicare ai cittadini l’idea che solo cultura e conoscenza (scientifica, umanistica, tecnica) sviluppano il pensiero critico, e che il pensiero critico rende liberi. Avrebbe dovuto rendere più autorevole l’immagine degli insegnanti; non screditarli; non svalutarli (anche economicamente) trattandoli come meri impiegati (peraltro meno “produttivi”). Lo Stato italiano ha sposato una pedagogia sociale rovesciata, grazie alla quale oggi un docente è disprezzato dai più e pagato quanto un netturbino.
Demolizione controllata di un’istituzione pubblica
D’Errico fornisce le prove dello smantellamento (tuttora in cantiere) della Scuola italiana: una mole imponente di dati, riferimenti storici e bibliografici: 614 pagine di testo, 17 di bibliografia, 7 di indice dei nomi. Le opinioni personali, pertanto, non sono in questo libro né gratuite né soggettive, ma fondate sull’analisi di dati oggettivi, incontrovertibili, incontestabili, e su una sintesi introvabile altrove.
Il risultato di questo immenso lavoro è un vademecum di gradevole lettura, indispensabile per comprendere la storia della politica scolastica italiana più recente, comprendendone risultati e ricadute sulla vita quotidiana. Politica scolastica consentita da un sistema sindacale consociativo — legato ai partiti politici — che ad essa ha fattivamente concesso i propri favori, come l’Autore puntualmente dimostra.
Le coincidenze non esistono
Nel procedere della lettura si comprende sempre più che nulla di quanto accaduto nel mondo dell’educazione è stato casuale. Nulla è accaduto perché «i politici sono stupidi» — come spesso oggi si sente dire — o perché «la Scuola è antiquata», o perché «gli insegnanti non sono preparati». Al mutare di governi e partiti solo la politica scolastica è rimasta sempre la stessa: aziendalizzazione, impiegatizzazione dei docenti, definanziamento della Scuola pubblica (e miliardi alle scuole private, in massima parte cattoliche). Ma se la politica scolastica è sempre la stessa malgrado i diversi Governi, ciò significa che non è più il dibattito parlamentare ad orientarne le scelte. La politica scolastica è decisa altrove: nei centri del potere industriale e finanziario italiano, europeo, multinazionale.
Che fare? Come uscirne?
Infine, l’Autore propone alcune possibili soluzioni alle difficoltà attuali: prima fra tutte, la riscoperta della partecipazione personale dei docenti alla lotta per ricostruire la Scuola, ripartendo proprio dall’autonomia professionale dei docenti stessi; quindi, la riscoperta del sindacalismo di base e libertario, libero da vincoli partititici e da interessi alieni al comune progresso sociale.
Opinione personale dell’Autore, certo. Ma altrettanto certo è che, in un momento grave come quello attualmente vissuto dall’umanità (minacciata, solo per fare uno dei tanti possibili esempi, dal rischio di apocalisse climatica e ambientale) è necessario ricostruire un’istituzione Scuola capace di trasmettere ai giovani conoscenza, pensiero, passione. Perché possano salvarsi e salvare la civiltà umana (di cui l’Italia è uno dei principali artefici). Non per altro.
Un libro utile, “La Scuola distrutta” (come anche il saggio di Angelucci e Aragno “Le mani sulla Scuola”), per non farsi trovare impreparati di fronte a un cronoprogramma di smantellamento della Scuola pubblica che nulla ha a che fare con il bene comune.