Il motivo del dislivello di quasi 100 punti nelle competenze in matematica tra i 15enni del Triveneto (524-523 punti contro i 485 nazionali e i 494 Ocse) e quelli della Calabria (430), che si accentuerà a conclusione degli studi?
“E’ semplicistico pensare che il gap sia legato solo al livello socio-economico. Noi puntiamo molto l’attenzione sulle aspettative che si hanno per i ragazzi”, dice Borgonovi, e i ragazzi di 15 anni del Sud sono in partenza già “sfiduciati nei confronti della scuola e delle opportunità che dovrebbe aprire, quindi meno impegnati negli studi e più facili alle assenze ‘ingiustificate’. Con il rischio finale dell’abbandono scolastico, che in Italia è maggiore che altrove ed è concentrato al Sud, o di andare a ingrossare le fila dei ‘neet’, i giovani inattivi (“ne’ al lavoro, ne’ a scuola”), categoria purtroppo assai numerosa nella Penisola”.
Ma anche l’abitudine di marinare la scuola sarebbe secondo l’Ocse, e secondo l’esperta, una delle cause della scarsa competenza in matematica, che sottrae in media 19 punti alla valutazione, abitudine troppo diffusa tra i liceali italiani (40% contro una media Ocse del 15%) da vederli ai primi posti della poco onorevole classifica mondiale.
Solo questi i punti deboli?
La nostra scuola, dice ancora l’esperta Ocse, subisce l’ingiuria di non essere considerata, soprattutto dalle famiglie, come una istituzione seria, “permettono ai ragazzi di prenderla sottogamba, quanto i professori giustifichino performance inadeguate”.
E come se ciò non bastasse, l’istruzione, soprattutto al Sud (ed è sempre il Sud che ostacola la corsa della Nazione- ndr) non viene percepita come un passaporto per il futuro.
“Nel Sud quale riscontro lavorativo possono avere gli studenti se hanno alte competenze? Riescono a trovare un lavoro che li soddisfi, che sfrutti al meglio queste competenze? A giudicare dagli elevati tassi di disoccupazione delle regioni meridionali si direbbe di no, mentre le aree con il minor numero di senza lavoro sono anche quelle con le migliori performance scolastiche”.
Tuttavia, dice sempre Borgonovi, “se da un lato le eccellenze stanno a Nord Est, dove gli studenti hanno performance al top mondiale, analoghe a Svizzera e Finlandia, al Sud c’è una eccezione come la Puglia (478 punti) che ha avuto miglioramenti veramente rilevanti grazie a ottime politiche nell’utilizzo dei fondi europei. La Puglia è un esempio da seguire”.
Ma uno dei punti più significativi dell’intervento della Borgonovi riguarda gli insegnanti, perché è proprio su questo versante che si gioca l’avvenire della istruzione italiana. Dice infatti che “Nella classifica sulle competenze degli studenti, i Paesi che vanno meglio sono quelli che danno priorità a pagare meglio gli insegnanti, in cui questa professione ha uno sviluppo di carriera e dove vengono forniti i mezzi per l’aggiornamento continuo, dove insomma si investe negli insegnanti, come avviene in Finlandia e Giappone”. In quest’ultima nazione addirittura “è la stessa Costituzione a disporre che gli insegnanti siano tra i ‘civil servant’ meglio retribuiti. In Italia questo sicuramente non accade. Quello che manca è la progressione di salario, all’inizio della carriera è abbastanza simile a quello della fine”.
Ma non solo, spiega ancora l’esperta: “In Finlandia la professione di insegnante è tanto ambita che le facoltà che preparano per esercitarla possono scegliere tra il 10% top dei diplomati per le ammissioni. L’insegnante prepara le persone che saranno il futuro del Paese, senza di lui non si possono avere bravi medici, bravi avvocati, bravi ingegneri o altri bravi insegnanti. E’ un mestiere molto importante”.
E in Italia? Lo sappiamo tutti. Da noi la professione docente viene spesso vista socialmente come un’occupazione di ripiego, mentre tutto l’apparato, dall’autonomia agli strumenti di cui dispongono, sono per lo più raffazzonati, nonostante ci siano “i tanti singoli che in modo eroico fanno la loro professione”
Ed ecco la conclusione sconfortante della Borgonovi: “in Italia nella scuola sono stati fatti molti progressi. Il problema è che si continuano a fare riforme un po’ disgiunte una dall’altra, senza che venga percepita una chiara visione comune da parte di tutti, insegnanti, genitori, politici, dirigenti scolastici, studenti. Si fanno piccole politiche, ognuna serve un pochino, ma sono tutte diverse tra loro”.
Forse, sembra dire l’esperta Ocse, sarebbe bene buttare nel cestino il cacciavite e la pinza, riesumate dall’ex ministro Beppe Fioroni, e aprire una officina del tutto attrezzata per rifare la macchina-istruzione, partendo innanzitutto dai professori, dai loro livelli di preparazione e quindi di arruolamento, e passando pure attraverso una riforma complessiva dell’ordinamento e dei cicli.
Ma per favore, non si faccia più della scuola un campo di battaglia ideologico, smontando definitivamente l’idea che, come la sanità, possa essere luogo di business per epocali avventure demagogiche.
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