Ogni anno scolastico è vissuto pericolosamente dai prof: compiti in classe da preparare, colloqui con i genitori, bambini incapaci di tenere il sedere sulla sedia e liceali che fingono di aver studiato ma durante l’interrogazione si arrampicano sugli specchi, prendendo per scemo l’insegnante; e poi liti con i colleghi presuntuosi, arrovellamenti con le Lim che non funzionano, l’ansia perenne che possa cadere l’intonaco in testa, disconoscimento dell’autorità in classe, né tantomeno apprezzamento del valore del mestiere. Professionisti, ma con busta paga miserabile.
L’unica gratifica? “Tre mesi di convalescenza, più che di vacanza”. Perché la scuola è sfiancante con rischi perfino per la salute mentale.
E infatti, si legge su Linkiesta, l’80% delle patologie professionali nel mondo della scuola è di natura psichiatrica: ansia, depressione, male di vivere, mentre gli insegnanti sono tra i più soggetti allo sviluppo di tumori, proprio in virtù dello stress cronico a cui sono sottoposti quotidianamente.
Pare inoltre che l’insegnamento sia la professione a maggior rischio suicidiario e finchè la scuola rimarrà la giungla che è oggi, difficilmente si potranno liberare dai mali che li affliggono.
Un mestiere facile? Ma troppi ignorano quanto lavoro ci si porta a casa, quanto “sommerso” per la preparazione dei programmi delle lezioni, la correzione dei compiti, le relazioni. Quante ore sacrificate “in nome dei ragazzi” e mai ricompensate, nemmeno con una pacca sulla spalla. E poi la relazione con gli studenti. Un rapporto strano e a tratti malsano. Una condanna ad una sorta di “sindrome di Dorian Gray al contrario” perché pur andando avanti con gli anni i prof continuano a stare in cattedra, e ogni anno sempre nuove generazioni di bambini e ragazzi sempre più giovani, sempre più diversi, sempre più distanti dai docenti.
E poi lo squilibrio squisitamente numerico dello stare in classe con venti o trenta ragazzini che ogni minuto di ogni giorno, senza interruzione di continuità, fanno una «risonanza magnetico-nucleare» nel momento esatto in cui si mette piede in classe.
Posto infine che gli insegnanti italiani sono i meno pagati e i più vecchi di tutti in Europa, è facile intuire di quale livello di considerazione possano godere.
«Uno psicologo americano una volta si mise a stilare l’elenco degli elementi che condizionano il lavoro degli insegnanti. Giunto al quarantesimo, si rese conto che sarebbe potuto arrivare all’ottantesimo: lì realizzò che non avrebbe avuto senso continuare».
Il punto è –continua Linkiesta- che l’insegnamento è una professione altamente stressante, e posto che questo stress intacca inevitabilmente non solo il benessere degli stessi docenti, ma si riflette anche nella qualità dell’insegnamento, qualche riflessione a riguardo bisognerebbe pure farla. E non si dica che i docenti, più degli altri, hanno un dovere morale. Si tratta di una professione gravosa e importantissima, purtroppo svilita.
Chi pensa che l’insegnamento sia una missione, vada a fare il missionario. Lascuola italiana è una gabbia di matti.
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