Secondo i dati Ocse Pisa il sistema scolastico migliore del mondo è in Estonia. Il Paese baltico ha un sistema pubblico gratuito, dove vige una grande libertà di organizzazione, dell’uso delle tecnologie e della didattica. A spiegarlo, come riporta Il Corriere della Sera, la ministra dell’Istruzione Kristina Kallas.
In media i quindicenni estoni ottengono un punteggio subito sotto i coetanei di Singapore, Hong Kong, Giappone e Corea, hanno scalzato il famoso modello finlandese e sono i primi in Europa in matematica e scienze. Il Paese riesce ad avere un numero di studenti cosiddetti top performers decisamente più alto della media.
Perché la scuola estone funziona così bene?
Ma cosa c’è alla base di un sistema così ben funzionante? Gli elementi da notare sono molti, primo fra tutti ciò che succede prima che i bambini comincino la scuola, cioè prima dei sette anni. “Le nostre scuole materne hanno un approccio educativo: non si impara a leggere e scrivere né la matematica ma i bambini sono guidati a rafforzare le proprie capacità sociali, di autonomia e di autoorganizzazione. Così saranno pronti a imparare quando verrà il momento di andare a scuola”, ha spiegato la ministra.
Ma non è tutto qui: “Il secondo elemento del nostro successo è l’autonomia delle scuole: le decisioni sulla didattica e sui libri e i modi di apprendimento sono prese vicino agli studenti, sul terreno. Gli insegnanti, che hanno una formazione dedicata in pedagogia e psicologia, vengono assunti direttamente dalla singola scuola, sono dei professionisti che possono prendere le giuste decisioni per gli studenti. Durante il Covid, per esempio, quando si sono chiuse le scuole da un giorno all’altro, l’autonomia ci ha aiutato molto: la mattina dopo ogni scuola si era organizzata con forme alternative di studio, ognuna a seconda delle esigenze dei propri studenti. E questo ci ha permesso di mitigare gli effetti della pandemia”.
Anche l’approccio alla tecnologia e all’uso dell’Intelligenza artificiale è molto particolare: “Siamo pur sempre uno dei Paesi in cui i servizi pubblici sono completamente digitalizzati da trent’anni e il prossimo anno in ottobre si voterà – qui si vota dai 16 anni – grazie ad un’applicazione dello smartphone. Come approccio siamo dunque favorevoli all’uso delle tecnologie e dei device in classe, perché fanno parte del nostro modo di vivere e la scuola non può essere una bolla: vietarli sarebbe controproducente. A livello di legislazione nazionale comunque non li vietiamo né li imponiamo per la didattica: ogni scuola e ogni insegnante può decidere se e come utilizzarli”.
“Anche in Estonia c’è una discussione sui pericoli dei social e sull’eccesso di gaming specie per i più piccoli. Ma questo non riguarda la scuola: è una responsabilità dei genitori. Se loro stanno sempre al cellulare è difficile poi dire agli studenti di non usarli. A scuola invece l’uso è controllato e dunque senza eccessi o pericoli”, ha spiegato, facendo un paragone su quanto deciso in Australia recentemente.
Istruzione tecnica in quattro anni
L’ultimo elemento che contribuisce secondo Kallas all’efficacia del sistema è che gli studenti fino a sedici anni vanno a scuola nella loro area di residenza e non vengono divisi in base alla riuscita scolastica. Dal prossimo anno inoltre si innalza l’obbligo scolastico, che oggi è a 16 anni (9 anni di scuola) fino ai 18 e si cambia l’istruzione tecnica.
“Dieci anni fa – ha raccontato -, su spinta del mondo produttivo che ci chiedeva giovani con competenze tecniche senza perdere troppo tempo sulla matematica o l’estone, avevamo riformato il percorso dell’istruzione tecnica. Oggi quegli stessi imprenditori vengono a dirci che quegli studenti hanno competenze che sono invecchiate in fretta e non riescono ad impararne di nuove perché non sanno abbastanza matematica. Per questo dal prossimo anno l’istruzione tecnica durerà non tre anni come il liceo ma quattro in modo che ci sia più tempo per imparare bene le discipline generali. Questo porterà anche ad un miglioramento dei risultati alla maturità degli studenti dei tecnici: ora sono più bassi e molto spesso non permettono di entrare all’università”.