Sagunto brucia, ma Roma si discute. In sintesi è questo ciò che l’Istituto Cattaneo sottolinea: “Della scuola in Italia si parla per agitare angosce – la presenza di “stranieri”, i vaccini – o sollevare questioni pur giuste come le strutture fatiscenti, la precarietà di molti docenti, i prèsidi con più istituti da gestire. Per la scuola si spendono fondi, sì, ma per iniziative discutibili come le telecamere in istituti selezionati, per “garantire la sicurezza”, ma i problemi di fondo “vengono invece elusi, non sono al centro del dibattito: le risorse destinate a scuola e università, lo scarso livello di qualificazione degli italiani, i pochi laureati che, per giunta, non trovano il lavoro alla pari dei loro colleghi europei”.
In altre parole, mentre siamo un Paese che legge sempre meno, dove ragazzi, giovani e adulti si informano principalmente sui social e su internet, dove la scuola e l’università non ricevono le dovute risorse che un paese maturo dovrebbe dedicare loro, il Governo si concentra sui temi “bandiera”.
L’Italia è però tra i paesi dove maggiore è la frequenza delle scuole maternee delle scuole elementarima è anche il paese con la più bassa quota di laureati e la più bassa quota di spesa pubblica per istruzione.
L’istruzione terziaria (laurea universitaria, master o dottorato), al contrario, resta un obiettivo raggiunto da appena il 17,7% della popolazione adulta contro una media europea del 33,4% e una media OCSE del 36,7%.
La quota di popolazione che ha solo frequentato la scuola dell’obbligo resta altissimo per il nostro paese.
“L’Italia”, dice il rapporto OCSE, “è uno dei pochi Paesi dove le prospettive occupazionali per i laureati di età tra i 25 e i 34 anni di età sono inferiori a quelle di chi ha un titolo di studio professionale”
Se è diminuito il tasso di occupazione per chi ha solo licenza elementare o media, è diminuito anche il tasso per chi ha titolo di studio superiore così come è calato il tasso di occupazione per i laureati. Le medie europee, in tutti i casi, sono migliori, pur anch’esse in lieve calo.
I tassi di disoccupazionetra i giovani adulti mostrano invece un mercato del lavoro che per l’Italia è simile a quello degli altri paesi europei per chi ha solo licenza elementare o media inferiore contro una media europea che rimane superiore.
In ogni caso i laureati italiani disoccupati sono, in percentuale, il doppio degli europei. Preoccupanti, per l’Italia, sono anche i tassi di inattivitàdei giovani adulti, per diplomati e laureati.
In pratica, un giovane su quattro, in Italia, pur avendo un diploma superiore o una laurea, non ha e non cerca lavoro.
Studiare conviene? Forse no. E infatti- specifica l’Istituto Cattaneo- mentre chi ha solo una licenza elementare o media guadagna in media il 23% in meno di un diplomato di scuola superiore, chi ha una laurea o più riceve uno stipendio pari al 141%, in media, di quello di un diplomato, contro una media europea del 153%.
A questo riguardo, è interessante notare che le donne non solo guadagnano meno degli uomini, ma più sono istruite e meno guadagnano (in proporzione).
“L’Italia è un outlier”, dice il rapporto OCSE, perché “nonostante la quota di laureati sia la più bassa tra i paesi OCSE, i vantaggi di remunerazione comparati sono piuttosto esigui, molto inferiori alla media OCSE”.
Tra i paesi menzionati nel rapporto OCSE, la spesa totale per istruzionevaria dal 16% di Brasile, Costa Rica, Indonesia, Messico, New Zealand e Sud Africa a meno dell’8% di Italia, Repubblica Ceca, Ungheria e Russia (la media dei Paesi OCSE è dell’11,3% della spesa pubblica totale, mentre quella UE è del 9.9%).
Tra i Paesi europei, l’Italia è ultima, con un livello di spesa pari al 7,1% del totale.In termini di Pil, lo stato italiano destina appena il 3,6% all’istruzione (la media europea è del 4,7% e quella OCSE del 4,8%), laddove la spesa totale in servizi in Italia ammonta al 50,9% del Pil (in Europa è il 47% e nell’insieme dei Pesi OCSE è il 43%).
Se il livello di istruzione è basso e le prospettive occupazionali non ricompensano chi studia, la politica deve preoccuparsi. Ma il livello di istruzione è basso anche perché l’Italia fa troppo poco.
Perché gli italiani non studiano? Perché – secondo l’Istituto Cattaneo- scelgono di fermarsi ad un livello di istruzione medio inferiore o, al più, superiore? La prima ragione sta nella bassa mobilità sociale. Purtroppo, infatti, quanto più una società è ferma e la mobilità sociale è bassa, tanto più il livello di istruzione tende a “trasmettersi” tra le generazioni. Se un paese vuole migliorare la condizione sociale dei suoi cittadini attuali e futuri, deve offrire ai giovani eque possibilità di ottenere un livello di istruzione di qualità e ciò è ancor più vero oggi che il gap nel mercato del lavoro tra occupazioni qualificate e non si è ampliato, così come crescente è il divario di reddito tra laureati, diplomati e gli altri. Un paese con un’ampia quota di lavoratori non qualificati è quindi destinato ad avere disuguaglianze crescenti. È ovvio, però, che non è pensabile che tutti ottengano la laurea. Ma sono i figli dei meno qualificati e istruiti che devono poter avere l’opportunità di fare quella scelta. Gli adulti laureati, tipicamente, hanno un genitore laureato, mentre sono molto pochi i figli di genitori non laureati ad accedere alla laurea. E questo è qualcosa che deve preoccupare la politica.
Il rapporto OCSE ci mostra che l’Italia è il paese dove più alta è la quota di persone tra i 30 e i 44 anni i cui genitori non sono laureati ed è anche tra i paesi dove i figli di non laureati meno accedono all’università.
Ciò significa che in Italia il percorso scolastico preso e il livello di istruzione raggiunto dipende moltissimo da quello dei genitori(ne è influenzato e possibilmente ne è anche determinato): la differenza, per i laureati, tra chi ha genitori laureati e chi ne ha non laureati è attorno al 54%, al contrario, ad esempio, dell’Austria, dove la differenza è solo il 22%.
“Tutto questo quindi, è motivo di urgenza e dovrebbe essere messo ben in evidenza sul cruscotto di guida del governo. L’Italia è un paese che studia poco, dove chi studia più a lungo fa più fatica a trovare lavoro, dove le remunerazioni per chi studia non li ricompensa a sufficienza dello sforzo fatto. Certo, molto dipende dalla famiglia di origine ma anche dal fatto, forse, che non si fa abbastanza per favorire l’accesso agli studi superiori e universitari. Un altro avviso ai governanti, quindi: fate di più perché il nostro paese investa nella cultura, nelle conoscenze e nelle competenze dei suoi figli. Ne trarrà vantaggio la società, l’economia e in ultima istanza anche i conti pubblici futuri”.
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