La proposta di Matteo Salvini, Ministro dell’Interno e leader della Lega, in merito al grembiule a scuola, hanno riacceso la consueta polemica sul tema.
Durante un comizio tenuto a San Giuliano Terme, in provincia di Pisa, Salvini ha infatti detto: “Abbiamo appena reintrodotto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che ce l’ha di terza mano perché non può permettersela. Ma sento già chi griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina”.
Il tema ha avuto molti commenti e riflessioni, ma peschiamo dal passato una riflessione molto valida che inquadra con grande lucidità la questione grembiule a scuola.
Infatti, un articolo pubblicato nel 1968 sul Corrierino dei piccoli, a firma di “un certo” Gianni Rodari, riguarda proprio una riflessione sul tema grembiule. Il testo, ripreso da Famiglia Cristiana, lo riportiamo integralmente:
“Ho seguito su un grande giornale una piccola polemica. Questa parola deriva dal greco “polemos”, che voleva dire “combattimento”. Ma per fortuna le polemiche giornalistiche si fanno senza bombe atomiche, con la penna o con la macchina per scrivere. Dunque un noto professore di pedagogia (che sarebbe la scienza dell’educazione) si diceva contrario all’obbligo per gli scolari di indossare il grembiulino, col collettino col fiocchettino: la tradizionale uniforme dentro al quale i bambini dovrebbero sentirsi tutti uguali di fronte al maestro, ma che contrasta con la personalità, lo spirito di indipendenza, la libertà dei bambini. Due madri di famiglia gli rispondevano sottolineando i vantaggi del grembiulino: economia, praticità, igiene, impossibilità (per le bambine specialmente di fare sfoggio di vanità. Voglio entrare anch’io nel “combattimento”. Sono armatissimo, perché ho chiesto l’opinione dei maestri che conoscevo. «Se non ci fosse il grembiulino i bambini poveri avrebbero l’umiliazione di mostrare le loro toppe nei pantaloni ai bambini ricchi, vestiti come figurini». Questo ragionamento non mi convince. La povertà va abolita, non nascosta. Bambini con le toppe nei pantaloni non dovrebbero essercene più, ecco tutto. Un altro maestro mi ha detto: «Il grembiulino aiuta la disciplina. Che cosa ne diresti di un esercito senza divisa, un soldato col maglione rosso, un caporale con il gilè a fiorellini?». Nemmeno questo ragionamento mi convince: la scuola non è una caserma. E sulla disciplina bisogna intendersi bene: secondo me una classe non è veramente disciplinata quando ascolta immobile e impassibile le spiegazioni del maestro, pena un brutto voto in condotta, ma quando sta facendo una cosa interessante, così interessante che a nessuno viene in mente di guardare dalla finestra, o di tirare le trecce alle bambine, o di leggere un fumetto sotto il banco. Un grembiule o magari una bella tuta da lavoro, mi sembra indispensabile se si fa giardinaggio, se si usa la macchina per stampare (molte scuole al usano), se si fanno pitture con grandi pennelli, per non sporcarsi. Cioè. Accetto il grembiule dove e quando è utile e necessario. Come simbolo di uguaglianza, disciplina, eccetera non lo capisco. Il fiocco, poi, dà proprio fastidio. In certe scuole lo fanno portare lungo lungo, largo largo. Prima si vede il fiocco poi il bambino che c’è dietro. Ma forse in quelle scuole li fanno scrivere col fiocco invece che con la penna. Senza offesa per nessuno, ho detto la mia. Se non siete d’accordo non tiratemi le pietre: tiratemi i collettini bianchi, che fanno meno male“.
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