Passeggiando, ieri sera, per la mia piccola città di provincia, mi sono trovato improvvisamente di fronte alla vetrina illuminata di una panetteria.
Avevano esposto, come tutti gli anni, le statue della Madonna, san Giuseppe ed il Bambino. Sullo sfondo, dentro le scansie, c’era una bella montagna di pagnottelle dorate … Ho notato, dietro il vetro, il proprietario, col volto rosseggiante ed allegro, che disponeva alacremente le cose in ordine.
E’ Natale. La mente torna d’un tratto all’infanzia. C’e’ profumo di pane e di dolci. C’e’ lo sguardo dolce dei tre umili personaggi che hanno rivoluzionato la storia con la loro bontà, mettendo al centro un bambino, una donna e la famiglia …
Considero tra me, quando sia importante la tradizione, l’identità’ culturale di un popolo. Come si possa essere, ad un tempo, se stessi e rispettosi della cultura altra.
Si all’interazione fra le culture, no alla globalità come annullamento delle singole culture, e come nichilismo. Se ci sono culture diverse, esse devono dialogare ed arricchirsi a vicenda, non annullarsi reciprocamente. Un uomo senza una cultura propria, quella dei “padri” e della “patria”, è un essere atomizzato, una pericolosa “x ignota”.
La globalità come sintesi astratta e’ un progetto totalitario pericoloso. Perché’ “è più’ facile dominare chi non crede in niente” (Michel Ende).
Se le maestre di Riviera del Brenta avessero compreso che il sapere non e’ un contenitore formale senza contenuti specifici, non avrebbero cancellato il nome di Gesù dalla canzoncina della recita di Natale.
Per fortuna, una bambina, coinvolgendo i compagni e raccogliendo firme, ha sollevato l’opinione pubblica, inducendo le maestre a reinserire quel nome.
La scuola non “impone”, certo, care maestre, come dite voi, ma propone. E guai se non lo facesse.
Luciano Verdone
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