Effervescente intervista di Stefano Bollani sul Corriere della Sera.it, in cui il musicista, oltre a parlare di musica e vita quotidiana, si sofferma anche sul ruolo della scuola e del rapporto con gli insegnanti.
Bollani, racconta la noia in generale verso la scuola e gli insegnanti: “Io per sopravvivere dicevo loro quello che volevano sentirsi dire. E così ripeti che quell’anno c’è stata quella battaglia e che avevano ragione quelli. Ho sempre letto tanto, ma non quello che mi davano a scuola. Parlavano dei Promessi sposi e io leggevo Stephen King. Non credo si appassionino ragazzi di 16 anni alla letteratura così. In questo modo li obblighi a sapere chi sono i nostri scrittori più importanti: si chiama nozionismo”.
Bollani approfondisce il tema e spiega la sua visione personale dell’istruzione, chiusa a suo vedere in schemi rigidi e programmi: “a scuola lo chiamano il programma. E poi finiamo con il farli nella vita. Ti vogliono programmare in modo che tu conosca delle cose piuttosto che altre: un concetto pensato per produrre impiegati. Un ragazzo è un genietto in qualcosa? La scuola gli risponde che però ha preso 5 in Storia dell’arte. Forma gente che si abitua a stare seduta davanti a un capo. Non ti prepara alla vita, ma a un lavoro preciso, in cui qualcuno ti dice cosa devi fare”.
Il musicista invita ad uscire dagli schemi per scegliere il propio cammino: “la nostra vita la scegliamo noi. Nel nostro cammino, se siamo attenti, incontriamo un sacco di maestri… magari per dieci minuti, ma lo sono. Niente è casuale ma serve sempre a farti capire qualcosa”.
L’approccio alla scuola e agli insegnanti di un musicista come Stefano Bollani, non poteva che essere di “ribellione”.
Ribellione alle regole, agli schemi e alle forme consolidate.
Senz’altro è molto complicato pensare la scuola come la vorrebbe Bollani, ma forse, una spruzzata di fantasia e creatività potrebbe solo fare bene agli insegnanti e soprattutto agli alunni, troppo spesso vittima del “nozionismo” di cui Bollani parla.
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