I casi di bullismo, delle baby gang, della violenza gratuita stanno facendo riflettere tutti. Con la scuola come responsabile e prima interprete, si sente ripetere, mentre dovrebbe essere la famiglia.
Nel senso che il ruolo educativo primario è e deve restare sempre della famiglia, nonostante la sua crisi, nonostante il venir meno del principio di autorità dei genitori, nonostante il non sempre facile contesto sociale, se pensiamo ad alcuni quartieri delle nostre città.
La scuola può e deve fare la propria parte, anzitutto come contesto educativo, poi con la consapevolezza che a scuola è il sapere, sono cioè le conoscenze che si fanno competenze a fare da guida nella ricerca, da parte dei nostri ragazzi, dei valori della vita.
Perché, lo dobbiamo dire, oggi non ci sono verità evidenti, valori condivisi, comportamenti considerati ovvii. Tutto è in discussione, compresa quella “verità” che dovrebbe farsi “bene” e “giustizia”.
A scuola noi cerchiamo di insegnare “che, come, quando, dove”, ma in relazione ai “perché” di se stessi, dei tanti aspetti della realtà: cosa sono le “materie scolastiche” se non tante finestre sul mondo?
In poche parole, la realtà non è evidente. Ma ha bisogno della nostra testa, del nostro cuore, della nostra intelligenza. Non bastano quindi gli istinti, i bisogni, ma per maturare sentimenti e pensieri pensati si deve mettersi in gioco, aprirsi agli altri, fare un po’ di sana fatica.
Allora, se niente vi è di scontato, tutto deve farsi ricerca, anche nella fatica, di esperienze positive che possono comportare dei rischi. E’ il grande fiume della vita.
La scuola, in questi termini, può e deve fare la propria parte, ma poi, quando i ragazzi escono, è la vita la vera scuola. Ed è la vita, vissuta in famiglia, con gli amici, soprattutto nei social, oggi la vera scuola di vita. Diamo a scuola alcuni strumenti per aiutarli a destreggiarsi poi quando escono per strada o si tuffano nei social? Incontrano dei veri “maestri” o dei meri burocrati del sapere?
In passato avevamo dei momenti che erano riti di passaggio, in famiglia con i nonni, nelle parrocchie con i gruppi, nella società con, ad esempio, la leva militare ed il lavoro da subito.
Oggi questi riti sono più soft o non ci sono.
Vanno quindi ricreati, perché senza questi riti, in certi contesti sociali, è evidente che i ragazzi si affidano ai dispensatori di certezze, di slogan, di modelli di vita eticamente discutibili.
Le scuole, in questi contesti, possono fare molto, ma non possono fare tutto, senza politiche di welfare adeguate. La scuola, cioè, non è un mero servizio sociale compensativo di certe precarietà ambientali e famigliari.
Dicendo queste cose, si capisce perché questi temi siano assenti dalla campagna elettorale. Mentre dovrebbero essere la punta d’onore e di eccellenza della qualità di qualsiasi proposta politica nel suo complesso.
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