Sono le cinque di mattina, ascolto la pioggia, tanto non mi riaddormento. Ieri l’algoritmo ha girato questo meccanismo disumano che definisce i futuri nove mesi dei precari, assegnando cattedre per mail all’improvviso, in una giornata dove il cellulare diventa un’arma preziosa. Lo lasci sul tavolo ma sai sempre dov’è, a volte provi a dimenticartelo e lo riprendi fremente. Dopo sei anni, il mio cellulare non ha suonato.
Nessuna mail.
Sono precaria da sei anni sulla A019, ho fatto due concorsi, il primo, di cui ho scritto già, è andato male.
Quello abilitava e quest’anno ha portato pane ai denti di molti con un punteggio inferiore al mio. Questo concorso, il PNRR, 2023 non è abilitante. Ho studiato nove e mesi e sono andata bene. Non era detto, perché gli orali sono stati valutati molto diversamente nelle tre commissioni adibite al contingente A019 per le regioni di competenza. Ma stanno ancora esaminando, siamo tanti, i posti pochi. Solita storia, ma senza abilitazione. Provo anche il TFA, anche in quel caso va bene, ma ancora nessuna graduatoria.
Poi arriva ieri: non ottengo nessuna cattedra. Scrivo al sindacato, alla Cgil, la sindacalista non risponde, chiedo aiuto ovunque “l’algoritmo mi ha saltato”, scrivo all’Usp. Niente. Un’altra sindacalista mi chiede l’iscrizione al suo sindacato, prima di ogni cosa e comunque “richiama domani”. Il tessuto che dovrebbe proteggerci si è sfaldato, la solidarietà, l’empatia e il contatto, li ho trovati solo in altri colleghi, veri compagni in armi. “Non eri urgente”, fine della storia.
Il bollettino con le nomine esce alle ore 20.00. C’erano cattedre a A019 ma sono andate agli abilitati del concorso ordinario del 2022. E le cattedre del sostegno sono poche. La nuova graduatoria specifica del sostegno, ultima invenzione, calcola solo il titolo di accesso e i titoli di servizio, non calcola i titoli culturali, ci si può accedere se si hanno tre anni di sostegno, minimo. Io mi sono ritrovata, come sei anni fa, esima.
Naturalmente, quando ho fatto le 150 preferenze, non sapevo quale fosse la mia posizione in graduatoria, né quali fossero le disponibilità di posti. Dovevamo scegliere a istinto. E il mio istinto era quello dato dall’esperienza: metto le mie scuole, non voglio cambiare di nuovo, per la sesta volta. La scuola rischia anche di farmi attaccare quella donna, felice e speranzosa, ma questo non glielo permetterò. Sono cresciuta.
Come possiamo andare dietro alle cattedre conservando una qualche speranza? Come possiamo andarci senza? Come possiamo andarci ridotti a schiavi di un sistema che ci uccide? Ridotti a burocrati o a censori?
Oppure a “scienziati”, disperatamente attaccati a un sapere autoreferenziale, ritirati da ogni relazione, impunemente egoriferiti e pronti a giudicare tutto e tutti? Beh, è allora che veramente facciamo danni gravissimi, scollegati dagli studenti e dalle studentesse che abbiamo, inaciditi, abbarbicati sopra un voto diamo il peggio di noi.
Quanti, quanti ne ho visti di questi tipi. Ma io no, io accuso. In sei anni ho visto la scuola crollare e non possiamo permettercelo. Non possiamo perché lo dobbiamo agli studenti e alle studentesse, lo dobbiamo al nostro domani e all’oggi che incalza. Non possiamo, ma accadrà, sta già accadendo.
Marta Giusti
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